Pubblicato di recente nella collana October Files, il saggio assemblato dalla nota storica dell’arte americana è uno strumento imprescindibile per cogliere le dinamiche culturali, estetiche e sociali interne alla produzione artistica di William Kentridge (Johannesburg, 1955). I contributi di Carolyn Christov-Bakargiev, Maria Gough, Andrea Huyssen, Joseph Leo Koerner e Rosalind Morris offrono una panoramica transdisciplinare e ampia sulla prolifica opera dell’artista. Il volumetto si apre con un’intervista della Bakargiev che immediatamente invita il lettore a cogliere le peculiarità del processo di creazione di Kentridge a partire dall’importanza del disegno nella costruzione delle sue immagini.
“Il disegno” – afferma l’artista – “è qualcosa che va nella direzione della fluidità che vedo agganciata alla dimensione processuale del pensiero e della ricerca di un significato profondo”. Più volte lo stesso Kentridge ha dichiarato che disegnare rappresenta un modello, uno strumento di conoscenza che gli permette di indagare in maniera libera le possibilità di legare le immagini a una narrazione che scorre attraverso cortocircuiti e ribaltamenti di senso e significati finalizzati a indagare le zone più remote delle proprie idee.
L’AUTONOMIA DELL’ARTISTA
Sin dagli Anni Settanta, l’artista usa il carboncino per tracciare le sue traiettorie di riflessione attorno all’anima profonda della cultura del suo Sud Africa e non solo. È proprio in questa ossessiva ricerca attorno al disegno a carboncino che la Krauss vede l’emergere di quella reinvenzione del medium intesa come cosciente difesa della specificità di un mezzo, di uno strumento che viene utilizzato come una sintassi di fondo della propria produzione artistica. Un’origine, un canone che dà vita a spettacolari film d’animazione che manifestano in tutta la sua pienezza e bellezza quella teorizzazione che vede la storica dell’arte impegnata nel declinare un pensiero che, seppur lega l’arte alle convenzioni di un dato dispositivo, sia esso tecnico o linguistico, permette a ogni episodio della creazione al tempo stesso una libera improvvisazione.
È con questi margini di libertà che l’artista acquista la possibilità di negoziare in un processo continuo la propria autonomia, messa in crisi da decenni di attacchi alla materialità dell’opera e che sola invece può fornire criteri di giudizio che ne valutino la validità e la sua permanenza nel confuso sistema dell’arte. È questa l’ampia cornice teorica nella quale si innestano una serie di acute riflessioni che fanno di questa monografia un archivio di spunti e temi per cogliere tutta la profondità e varietà della sensibilità artistica di William Kentridge.
TEMPO E GRAFICA
Di particolare fascino concettuale è il tema del palinsesto, una delle chiavi di lettura critica elaborate dalla Krauss per disegnare una prospettiva storica dell’opera dell’artista sudafricano connettendolo a Goya, Grosz, Max Beckmann e Daumier. Si tratta di una forma emblematica di temporalità grafica capace di creare un processo di astrazione e disintegrazione della storia, della biografia dell’artista e soprattutto della narrazione che si snoda attraverso la formazione di un terzo punto di vista, quello dell’“outsider”. È un superamento della dimensione di lettura delle cose attraverso la lente del soggettivo o dell’oggettivo. “L’arte di Kentridge forza l’importanza del ricordo” – afferma Rosalind Krauss “prendendo una posizione contro il rischio di disattivazione della memoria storica, nonché della rimozione psichica, caratteristica delle società dopo un evento traumatico”. Un dispositivo di attivazione del valore dell’opera d’arte che si sgancia da una dimensione temporale ciclica, ordinaria e che la Krauss vede come particolarmente evidente nell’opera del 1996 dal titolo History of the main complaint.
William Kentridge – Triumphs and Laments from Artribune Tv on Vimeo.
ARTE E RIFLESSIONE
Analizzando l’installazione The refusal of time del 2012, Andreas Huyssen suggerisce il tema del fantasma della storia connesso con la vicenda politica dell’apartheid in Sud Africa. “Più volte il tempo perde il suo ritmo e la sua direzionalità” – scrive Huyssen – “specialmente in Refusal dove Kentridge ribalta la successione delle immagini proiettandole in un flusso contrario, i frammenti di un oggetto ammaccato si ricompongono, alcune scene di figure in ombra sono ripetute al ralenty o velocizzate.” L’artista non conclude la processione con una rivoluzione anarchica, ma celebra la rinascita dall’oppressione attraverso l’ordinarietà della vita. Con quest’opera Kentridge afferma come l’arte rappresenti una sfida per riflettere politicamente e influenzi la formazione di una soggettività affettiva capace di legittimarsi sia in un contesto locale che su un piano più ampio.
L’artista insiste sulla capacità dell’arte di proiettare anche le forme estreme di emozione e sentimento nell’ambito della cultura di massa attraverso una coerenza strumentale e tecnica che fronteggia l’obsolescenza causata dalle tecnologie. Infatti Kentridge opera sempre un richiamo alle prime forme di film nelle quali piccoli disegni venivano incollati su un rullo e proiettati per un pubblico, dando vita a un’esperienza collettiva. È proprio questa tensione pubblica a caratterizzare le ultime opere dell’artista, come sottolineato nel saggio conclusivo del volume.
– Marco Petroni
Rosalind Krauss (a cura di) – William Kentridge
saggi e interviste di Carolyn Christov-Bakargiev, Maria Gough, Andreas Huyssen, William Kentridge, Joseph Leo Koerner, Margaret Koster Koerner, Rosalind Krauss, Rosalind Morris
The MIT Press [October files], Cambridge (MA) 2017
Pagg. 208, $ 50
ISBN 9780262036177
https://mitpress.mit.edu
http://www.mitpressjournals.org/loi/octo
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