Lazy Dog, ovvero “cane pigro”, è una casa editrice di nicchia. Ha sede a Milano ma il suo è un respiro globale. Occorre fare di necessità virtù, altrimenti come si campa, in un Paese dove pure un sottosegretario ai Beni Culturali – al secolo Lucia Borgonzoni – dichiara bellamente di non leggere un libro da tre (TRE) anni? Chi compra, in questa Italia al grado zero dell’umanità, un libro di Luca Barcellona, fra i calligrafi (sì, calligrafi) più dotati al mondo? Oppure la magnifica carrellata di insegne ordinata da James Cloug, autentica mostra pubblica di lettering? O ancora, il portfolio di trentadue fotografie scattate in Iran da un illustratore di talento come Guido Scarabattolo?
Fra le uscite più recenti dell’editore meneghino c’è Pittori di cinema. Parliamo di un volumone alto quasi due spanne e di oltre quattrocento pagine. Un tomo che fa il punto in maniera impeccabile su una nicchia (ancora) della nostra produzione d’arte visiva, che rarissimamente ha trovato respiro nei luoghi in cui s’insegnano le “belle arti”.
Per pittori di cinema s’intende quegli artisti-artigiani – nel senso più nobile del termine – che hanno dedicato la loro vita, o gran parte di essa, a visualizzare in un’immagine fissa un racconto costituito da immagini in movimento. Nomi che ai più non dicono nulla: da Manfredo Acerbo a Silvano Campeggi, da Francesco Fiorenzi a Otello Mauro Innocenti, da Giuliano Nistri a Sandro Symeoni. Sono in tutto ventinove quelli presi qui in esame; sono gli autori di locandine che ricordiamo bene, che abbiamo visto appese (per i più agé) o riprodotte o in vendita nei negozi specializzati. Per farla semplice: dipinti per film. Accompagnati spesso da lettering notevolissimi (indovinate un po’ chi ne scrive nei saggi introduttivi) e talora sviluppati in titoli di testa che hanno fatto la storia del… cinema? Del video? Della grafica? Dell’arte?
UN LIBRO CORAGGIOSO
Sono, questi, pittori minori che, espulsi magari preventivamente dal nascente sistema dell’arte, hanno deciso, loro malgrado, di professionalizzarsi, di lavorare a contratto e su commissione? A volte sì, ma non sempre. Però il punto non è questo. Il punto è individuare non solo il talento, che esplode nonostante – anzi: grazie a – regole e gabbie precise, ma pure riconoscere una sorta di scuola in questi manifesti, locandine, inserti pubblicitari, uno stile che è individuale ma che, come in ogni scuola che si rispetti, fa emergere tratti e volizioni comuni, che travalicano con grande forza l’enorme differenza dei film che illustrano.
Un esempio: il tratto che accomuna, sotto la mano di Tino Avelli, pellicole distantissime l’una dall’altra come Flesh (1968) di Paul Morrissey e Una calibro 20 per lo specialista (1974) di Michael Cimino, con protagonista il repubblicano par excellence Clint Eastwood.
Difficile qui limitarsi a pochi nomi. Almeno vanno citati a mo’ di esempio il penchant lugubre di Anselmo Ballester, che riesce a rendere inquietanti pure le favole della buonanotte; gli acquerellati di Ercole Brini, che a metà degli Anni Sessanta, d’un tratto, diventano nette linee grafiche, quasi alla Tano Festa; la complessità dei piani orchestrata da Carlantonio Longi.
Un libro coraggioso dedicato ad artisti coraggiosi.
‒ Marco Enrico Giacomelli
Maurizio Baroni – Pittori di cinema
Lazy Dog, Milano 2018
Pagg. 432, € 89
ISBN 9788898030170
https://lazydog.eu
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #11
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