Educazione radicale
Settima lettera aperta firmata da Maria Rosa Sossai. Indirizzata a Sreshta Rit Premnath, con il quale ha condiviso un workshop di una settimana sotto il portico di piazza Gramsci a Milano nell’ambito del progetto Nexfloor.
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Caro Rit,
la settimana vissuta insieme a te, a Federica e Francesca dell’Associazione Sintetico e ai partecipanti al workshop Temporary School a Milano è stata un’occasione per sperimentare in concreto qualcosa di nuovo. Tornata a Roma, ho provato a stilare l’elenco delle attività: seduti insieme su dei pancali quattro ore al giorno, abbiamo letto ad alta voce e in silenzio, discusso, chiacchierato con gli abitanti della piazza; abbiamo lavorato divisi in gruppi per un progetto di riqualificazione del portico, usato fogli, matite, colori e ascoltato molto.
Eravamo circondati da teloni in pvc riciclati su cui – durante le giornate iniziali del laboratorio – erano state scritte delle domande: cos’è pubblico? Cos’è privato? Il corpo è pubblico o privato? Quanto è importante il divertimento nell’atto di apprendere? Cosa significa imparare e quali attività comporta? Bisogna prendersi cura del luogo dove si apprende prima di trasformarlo? Collaborare significa anche avere cura l’uno dell’altro? Cosa e come si comunica alle persone che attraversano lo spazio? Cosa ci unisce? Cosa ci divide? Cosa significa apprendere? Acquisire nuovi contenuti? O anche comprendere chi è intorno a noi?
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Sreshta Rit Premnath
A queste domande si sono aggiunte le proposte suggerite dagli abitanti della zona e le più ricorrenti riguardavano la richiesta di aree verdi, ma anche la possibilità di condividere conoscenze, esperienze e idee. Mi ha fatto riflettere la tua osservazione sull’evidenza che qualsiasi fosse stato il prodotto del laboratorio in termini di sapere, gli aspetti più rilevanti dell’azione educativa erano la classe stessa e la sua interazione con la gente e lo spazio, sino a che la classe stessa fosse diventata una scultura pedagogica.
Queste tue parole hanno acquistato un nuovo significato alla luce della mail che mi hai mandato al tuo ritorno a New York, in cui hai affermato che l’esperienza del workshop ti aveva fatto cambiare idea sul rapporto esistente fra arte e formazione. Si era colmata quella distanza teorica iniziale fra le nostre due posizioni – io convinta che l’educazione nell’attuale momento storico sia un terreno fertile di libera sperimentazione e ricerca per gli artisti, e tu persuaso che le attività artistica ed educativa fossero due momenti distinti.
La sintesi mi sembra sia arrivata durante il dibattito al DOCVA, quando Anna Detheridge è intervenuta dicendo che l’opera d’arte è in sé un atto radicale di educazione. Oggi la formazione è diventata di moda e dappertutto fioriscono corsi estivi, workshop, cicli di lezioni, promossi da associazioni, fondazioni, gallerie, dipartimenti di musei e mostre d’arte. Sarebbe bello se tanto sforzo e tante energie portassero a reali cambiamenti nel rapporto tra il mondo dell’arte e quello della formazione. Non credo alle grandi trasformazioni, soprattutto se calate dall’alto, credo al contrario all’opera capillare e lenta dei piccoli gruppi, perché anche una sola di queste esperienze può cambiare il corso della vita di una persona.
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Sreshta Rit Premnath – Hide – 2010 – courtesy Gallery SKE e l’artista
Augusto Boal, che mi hai fatto conoscere, scrive nel suo libro The Theatre of the Oppressed che l’educazione è un’arma potente e proprio per questo non dovrebbe essere lasciata nelle mani di chi detiene il potere. Quindi la scuola in senso più ampio è dovunque ci siano persone che non solo imparano delle cose, ma che soprattutto scoprono qualcosa su se stessi. Uno degli obiettivi che ci eravamo prefissi era creare una scuola aperta e senza pareti, che potesse diventare un laboratorio dove ribaltare la visione di una società divisa fra teoria e pratica. Solo confutando la separazione gerarchica per cui chi pensa è posto più in alto (gli intellettuali) rispetto a chi agisce (le persone comuni) si potranno creare reali e uguali opportunità di crescita culturale per tutti.
Maria Rosa Sossai
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
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