Donald Trump è solo. Dopo Charlottesville l’America lo molla
Deriso sulle copertine delle maggiori testate con efficaci illustrazioni d’autore. Abbandonato dai boss di grandi aziende. Mollato dai membri del Committee on the Arts and the Humanities. Donald Trump riceve un grazie solo dal capo del Ku Klux Klan. In America è la stagione dell’odio.
Da un lato l’orrore del terrorismo di matrice islamica, con una sequela di attentati figli di una guerra liquida, espansa, incontrollata, il cui esercito si perde in circuiti eterogenei: soldati arruolati in Rete, fanatici improvvisati, cellule organizzate, lupi solitari, adolescenti plagiati, stranieri naturalizzati nelle società occidentali. Una guerra eccentrica in cui il bersaglio si polverizza e si mimetizza. Dall’altro lato c’è la new wave xenofoba, nazionalista, razzista, che tra Usa ed Europa riesuma ideologie fascio-naziste e si appella a un suprematismo bianco, cristiano e occidentale infarcito di odio. Due forme di fondamentalismo, buone a fomentarsi a vicenda; un teatro rovente su cui qualcuno soffia strategicamente. La tensione resta un’arma perversa.
I fatti avvenuti quest’estate nella cittadina americana di Charlottesville, in Virginia, sono esemplari. Prima, in luglio, una manifestazione di fanatici del Ku Klux Klan – armati i pistole e slogan antisemiti – sfogavano la loro rabbia contro la rimozione della statua del generale sudista (e schiavista) Robert Lee. Poi, il 13 agosto, la tragedia. Durante una marcia antirazzista, che rispondeva all’ennesima parata neonazista, un 20enne suprematista si è schiantato sulla folla con la sua auto: venti feriti e un morto. La 32enne Heather Heyer ha perso la vita mentre sfilava in nome dei diritti umani, dell’uguaglianza, della democrazia.
CHARLOTTESVILLE. TUTTE LE GAFFE DEL PRESIDENTE
L’America è sotto shock, proprio mentre l’Europa piange le vittime dell’attentato a Barcellona, rivendicato dall’Isis. Se esiste una possibile rappresentazione dell’estate 2017, la si trova in questo split feroce, vetusto, insensato. Due inferni contrapposti.
E il suo piccolo inferno mediatico lo sta scontando pure Donald Trump, al margine dei fatti di Charlottesville. Conservatore, nazionalista, favorevole a una politica dei muri, nemico di ogni narrazione progressista e umanitaria, il Presidente aveva accolto la vicenda con un imbarazzante silenzio. Al punto da sollevare un polverone: è mai possibile che la massima autorità statunitense non parli, non si indigni? E Donald parlò. “Il razzismo è il male. Sarà fatta giustizia”. Finalmente. Tra frasi del tipo “Non c’è spazio in America per l’odio e l’intolleranza” e “non importa il colore della pelle. Siamo uguali di fronte a Dio, alla legge e alla Costituzione”, la cosa pareva risolta.
Il metodo del cavatappi e della correttezza istituzionale, però, non funziona con i mastini di razza come Trump. Nemmeno il tempo di godersi il plauso generale che arriva il graffio irriverente: “Le responsabilità sono di entrambe le parti”. Boom. L’alt-left, insomma, non è migliore dell’alt-right. Ed è scandalo – giustamente. Piovono condanne, in Usa e oltre confine: l’opinione pubblica s’indigna, persino i conservatori iniziano a smarcarsi dal loro leader e l’alleata Theresa May chiede letteralmente di non mischiare fascisti e antifascisti. L’unico a inchinarsi è invece il capo del Ku Klux Klan, David Duke, lieto per l’operazione “verità” che ristabilisce l’equilibrio. Della serie: l’abbraccio che uccide. Un grazie di troppo e sei definitivamente dalla parte del male.
L’AMERICA SCARICA TRUMP
Intanto la stampa è compatta. Tre fra le più autorevoli testate internazionali sfornano copertine d’autore eloquenti. Quella che sta girando di più in Rete l’ha commissionata il New Yorker a David Plunkert, talentuosissimo artista e graphic designer, noto per i suoi raffinati lavori in cui si mixano pop-surrealismo, underground, dadaismo, composizioni visionarie, gusto vintage. Un mago del collage, specializzato in poster e illustrazioni per i giornali. Qui Plunkert raffigura l’inquilino della Casa Bianca a bordo di una barchetta, mentre spera di sospingerla col suo alito di vigoroso maschio bianco. E la vela su cui soffia non è altro che il famoso cappuccio bianco indossato dagli adepti del Ku Klux Klan. Ha spiegato Plunkert su Twitter: “La debole condanna del presidente Trump verso quei gruppi di odio – quasi stesse cercando di non perderli come elettori – mi ha costretto a prendere in mano la penna”. Il target di riferimento resta in effetti strategico per uno che, dall’orrida congrega di razzisti, aveva ricevuto entusiastici endorsement in campagna elettorale.
Copertina eloquente anche per l’Economist, che su un fondo rosso lacca disegna un Donald di profilo, intento ad arringare le folle con un megafono, sempre a forma del mitologico cappuccio. La firma l’illustratore John Berkeley. Il Time, invece, sceglie di adagiare la bandiera americana sul braccio teso di un nazista. Titolo: Hate in America. Quando l’odio razziale diventa il cuore del dibattito statunitense e le istituzioni prestano il fianco, omettono, lanciano messaggi ambigui. Qualcosa vacilla.
E vacilla senz’altro l’immagine del Presidente, insieme alla stabilità della sua macchina politico-economica. Il caso Charlotesville sta lasciando più di una ferita. Anche i grossi dirigenti d’azienda ad abbandonare la nave, tanto che al boss della White House non resta che una reazione preventiva: smantellare i forum economici che lui stesso aveva voluto, prima di vederli disertare totalmente. Ed è frattura – gravissima – col mondo dell’imprenditoria. A lasciare, tra gli altri, Inge Thulin, Ceo di 3M, Denise Morrison, Ad di Campbell Soup, Brian Krzanich, alla guida del gigante Intel, Kenneth Frazier, numero uno del colosso farmaceutico Merck. Nel mentre Pater Tiel, co-fondatore di PayPal, tra i maggiori supporter di Trump, annuncia che la sua piattaforma online si rifiuterà di veicolare la raccolta fondi dei razzisti di Charlottesville.
SI DIMETTE IL COMITATO PER LE ARTI E LE SCIENZE UMANE
E a proposito di dimissioni, anche il mondo della cultura dà un segnale. Tosto. Una ritirata di massa dal Comitato per le Arti e le Scienze Umane, i cui sedici membri, in una lettera durissima al Presidente, commentano la mancata condanna unilaterale dei razzisti incappucciati: “Le false equivalenze che sostenete non si possono sopportare. Il rifiuto dell’amministrazione di condannare in modo rapido e inequivocabile il cancro dell’odio incoraggia ulteriormente coloro che desiderano un’America malata”. E ancora: “Ignorare la sua retorica odiosa ci avrebbe resi complici delle sue parole e azioni. Abbiamo fatto un giuramento patriottico per sostenere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti contro tutti i nemici, interni e stranieri”.
Ma il testo non si ferma qui e prende di mira l’intera impalcatura culturale dell’era Trump, così come si è palesata in questi primi mesi di governo: “L’Arte ha a che fare con l’inclusione. Le Scienze Umane implicano un’idea di stampa libera e vivace. Lei ha attaccato entrambe le cose. Ha licenziato un bilancio che sacrifica le arti e le agenzie culturali. Ha minacciato la guerra nucleare, mentre toglieva i finanziamenti alla diplomazia. L’Amministrazione si è ritirata dall’accordo di Parigi, ha depositato un brief che mina la legge sui diritti civili e ha attaccato i coraggiosi membri del nostro ‘service transgender’. Ha sovvertito le pari opportunità e si è messa d’impegno per tenere lontani dal nostro grande Paese i musulmani, le donne e i figli dei profughi”.
Insomma, un lenzuolo di critiche, sufficienti a prendere la decisione finale: girare i tacchi e andarsene. Un fatto di valori. Quelli del Presidente, aggiungono i sedici membri, non sono gli stessi del popolo americano: “Supremazia, discriminazione e odio” vanno combattuti senza ambiguità. “Dobbiamo essere migliori di questo. Siamo migliori di questo”. Toccherà a Trump, nei prossimi mesi, dire con chiarezza chi è e da che parte sta. E sono in tanti a sperare già nell’impeachment: del tutto improbabile oggi, ma lo scenario geopolitico di domani assomiglia a un buco nero. Intanto ovunque si contano cadaveri, al di qua e al di là ogni frontiera. E tra un cappuccio bianco e una bandiera nera, tra una minaccia della jihad e una marcia del Ku Klux Klan, quale distanza passa?
– Helga Marsala
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