Scusatemi se sono un Ministro. Franceschini e la retorica dell’art pour l’art
Il Ministro Franceschini, nella trasmissione televisiva di Fabio Fazio, ha preferito difendere il suo ruolo di scrittore piuttosto che quello di politico e, per giunta, di Ministro della Cultura. Quasi a sottolineare una retorica tutta italiana, in base alla quale l’“aulico” mestiere creativo vince sul pragmatismo di altri ambiti lavorativi.
In uno degli episodi di Bones, una serie televisiva legata all’ambito “crime”, i protagonisti (Bones, una stimata antropologa forense, e Booth, un agente dell’FBI), si trovano a dover risolvere “un caso” a Los Angeles, venendo a contatto con i rispettivi colleghi della città.
Essendo anche una “scrittrice di successo”, la dottoressa riscuote molto interesse in città, il cui “clima culturale” viene descritto secondo tutti i cliché del caso, al punto che l’omologa di Booth non perde occasione per sottoporre all’antropologa il proprio manoscritto, da cui vorrebbe tanto si potesse ricavare un film.
Questo episodio determina nel collega un’ostilità che viene risolta, seguendo il plot standard, al termine della puntata, nel momento in cui Booth rivela come alla base del suo atteggiamento ci siano le velleità artistiche dell’agente losangelina. Per il co-protagonista della serie, infatti, portare il distintivo dell’FBI è una delle ambizioni più alte per un essere umano, e la constatazione che per la sua collega invece rappresenti semplicemente un lavoro, “un trampolino per poter fare qualcos’altro”, lo offende.
RETORICA DA LETTERATI
Torniamo in Italia, fuori dalla “fiction”, o quasi. Alcuni giorni fa a Che Fuori Tempo che Fa, Fabio Fazio ha presentato, tra i propri ospiti, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, esordendo così: “Quello che a me fa un pò sorridere, Ministro, è che ci tiene veramente molto a questo status di scrittore, più che allo status di ministro più che alla politica“.
Chiunque, probabilmente, avrebbe smentito, schermandosi, validando le proprie velleità letterarie, evitando contrapposizioni e giudizi di merito. Sintomatico è che invece sia avvenuto il contrario. Che il Ministro Franceschini abbia sentito di doversi quasi scusare, in qualità di scrittore, del ruolo politico che ricopre.
“Di nuovo la retorica dell’art-pour-l’art che fa sì che un ministro, per giustificare e “promuovere” una propria passione, denigri, o quantomeno non difenda, ciò che invece dovrebbe essere una delle ambizioni massime per un uomo di cultura nella nostra epoca e nel nostro Paese“.
L’evidente parallelismo che lega i due episodi, fiction e realtà, ci dovrebbe far riflettere su come, a volte, ci sia da imparare anche dalla retorica spicciola delle fiction prodotte in USA. Per intenderci, questa non è la critica al Franceschini uomo o scrittore. È la critica di un “messaggio” mediatico che è stato trasmesso in un programma televisivo in seconda serata, in una fascia di ascolti tendenzialmente molto elevata.
Questo messaggio contrasta con quanto invece dovrebbe essere naturale in un uomo che ricopre una delle più alte cariche del Governo e la carica più importante nel mondo della cultura nazionale: la passione per il proprio lavoro, per la propria “fatica” quotidiana nel cercare di migliorare le condizioni di uno degli asset economico-sociali più importanti del nostro Paese.
CREAZIONE CULTURALE VS PRAGMATISMO
E invece, quello che è accaduto è che questo messaggio non è stato “assolutamente” sottolineato: le numerosissime critiche (di cui alcune strumentali, sia a favore che contro) mosse al ministro nelle ultime settimane hanno riguardato esclusivamente il suo “status” di autore e la qualità del suo romanzo, con le invettive e gli elogi che la cosiddetta stampa “vicina” o “ostile” può riservare a un personaggio pubblico.
Il fatto che invece un’invettiva sorridente, come quella lanciata da Fazio, non abbia avuto una eco nel bailamme giornalistico è invece segno di un pregiudizio ancora più forte e che non è per nulla estraneo al mondo della cultura.
Di nuovo, infatti e purtroppo, ci troviamo di fronte all’elevazione della “creazione” culturale contrapposta al mero pragmatismo delle nostre vite quotidiane. Di nuovo la retorica dell’art-pour-l’art che fa sì che un ministro, per giustificare e “promuovere” una propria passione, denigri, o quantomeno non difenda, ciò che invece dovrebbe essere una delle ambizioni massime per un uomo di cultura nella nostra epoca e nel nostro Paese.
Ma non è Franceschini, il problema. È la strisciante certezza che tutto ciò sia “normale”, è la consapevolezza che “scrivere un libro” (al di là delle sue qualità letterarie) sia più meritorio che “renderne possibile la produzione” (attraverso politiche fiscali, normative ed economiche) a essere offensiva.
Credete sarebbe stata la stessa cosa se la passione del nostro ministro culturale, invece di essere stata l’aulica letteratura fosse stata il Wrestling? Cosa sarebbe successo se Franceschini, invece che travestito da “autore”, fosse andato da Fazio travestito da “lottatore” a esprimere “vicinanza” a chi tra i telespettatori nutriva perplessità per questo suo doppio-ruolo?
‒ Stefano Monti
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