Nel cuore del Pop Surrealismo. Intervista a Camille Rose Garcia
A Roma, presso la Dorothy Circus Gallery, va in scena la prima mostra personale europea dell’artista americana Camille Rose Garcia. L’artista, tra le maggiori esponenti del Pop Surrealismo, presenta, in occasione del decimo anno della galleria trasteverina, “The Ballrooms of Mars”, un intero ciclo di nuovi lavori che si concentrano sulla dimensione dello spazio extraterrestre e sulle vibrazioni sonore che appartengono al misterioso linguaggio universale della natura.
Nella capitale per solo pochi giorni, Camille Rose Garcia (Los Angeles, 1970) inaugura la sua mostra personale nella storica Dorothy Circus Gallery. L’artista, una delle più grandi interpreti del Pop Surrealismo, espone un corpus rinnovato di disegni e opere su tavola ispirati al mondo primordiale e alle suggestioni più profonde che riguardano la natura, la musica e l’arte. Prima dell’opening abbiamo incontrato Camille e scoperto il suo immaginario fantastico tra Realismo Magico, letteratura e cultura popolare messicana.
Qual è il ricordo più intimo legato alle tue opere?
Da bambina ero molto ispirata dalle favole e dai cartoni animati che mi fornivano una via di fuga da una vita caotica in casa, dove la mia infanzia non era sempre al sicuro. Credo che il rielaborare attraverso l’immaginazione, così come l’abitare questi mondi fatti di animali e personaggi parlanti, mi abbia molto aiutato nel sopravvivere e mantenere viva nella mia anima un po’ di magia infantile.
Cosa fai prima di disegnare?
Seguo dei riti molto precisi prima di iniziare a lavorare. Mi piace iniziare con una mente rilassata, quindi di solito faccio una scalata o un giro in bicicletta. Dopodiché creo l’atmosfera nello studio. Seleziono la musica del giorno, accendo dell’incenso e una candela, sistemo i pennelli, e poi decido che colori e che palette usare. Vivo in California, dunque fumo anche un po’ d’erba prima di iniziare.
La mostra The Ballrooms of Mars fa riferimento a una serie di influenze e ispirazioni primordiali. Ci racconti il perché di questa tua connessione con i misteri della Natura e se questa percezione entra nelle tue narrazioni?
Sono sempre stata affascinata dai motivi ripetitivi della Natura, dalle successioni di Fibonacci e dalla connessione tra le vibrazioni di suono e colori. Nel mio lavoro di solito esploro questi motivi simbolici che compaiono nella mitologia, nelle favole e nel folklore. Per questa mostra, The Ballrooms of Mars, desideravo viaggiare oltre il pianeta Terra. Ho ascoltato i suoni registrati da diversi pianeti e ho pensato all’idea di musica e suono come linguaggio dell’Universo, e che, forse, il nostro sistema solare crea una canzone dal ritmo molto lento che si ripete ogni 25mila anni [la Processione degli Equinozi, N.d.R.]. Ero anche interessata al Voyager Golden Record, un disco d’oro che è stato trasportato nel Voyager I Space Probe lanciato dalla NASA verso la fine degli Anni Settanta. Questo disco è tuttora l’oggetto costruito dall’uomo che ha viaggiato il più lontano possibile nello spazio! Da ciò ho preso ispirazione per l’idea dei pianeti del sistema solare che si rincontrano ogni 25mila anni per condividere la propria musica. A volte è difficile trasformare queste idee in rappresentazioni artistiche, quindi ho deciso di personificare i pianeti come diversi individui.
Qual è l’origine dell’iconografica nel tuo processo creativo?
Cambia continuamente, ma è influenzata dagli archetipi simbolici: la Strega, l’Eroe, la Dea ecc. Traggo ispirazione anche dalla cultura popolare e dalla musica, tant’è che ultimamente ho usato David Bowie come archetipo di Orfeo.
Nelle tue opere ci sono storie che nascono dai racconti della tradizione orale sudamericana e dalla cultura ispanica?
Sono molto influenzata dalla cultura sudamericana e, in particolare, messicana, che è la cultura dei miei antenati assieme a quella Yaqui Indiana. Credo che, piuttosto che usare direttamente i racconti popolari, sono ispirata dal concetto di Realismo Magico, secondo il quale altre dimensioni come quella dei fantasmi o degli stati onirici coesistono con una realtà “normale”. Credo che la cultura statunitense manchi di queste dimensioni ispirate al magico, dunque sento che è mio compito inserire un diverso livello di realtà in questa stessa cultura.
Perché nei tuoi lavori prediligi i soggetti femminili?
Beh, dipingo anche uomini talvolta, ma sembrano sempre personaggi femminili! Per qualche motivo penso sia problematico per me dipingere uomini, non so bene cosa farmene. C’è un tale squilibrio nella cultura degli Stati Uniti, che è eccessivamente mascolina e aggressiva. Penso che mi piaccia dipingere il Femminile in modo forte ed espressivo.
Chi sono per te i grandi maestri della letteratura americana gotica e che relazione hanno con le tua ricerca artistica?
Direi che H.P. Lovecraft è stato uno dei migliori, e adoro assolutamente Edgar Allan Poe anche se non è americano. Ma mi trovo più attratta dalla letteratura distopica, come ispirazione. Orwell, Aldous Huxley e Roald Dahl sono tra i miei preferiti. Adoro anche gli scritti sci-fi/avant-garde di William Burroughs, Philip K. Dick e Ursula K. Le Guin. Uno dei miei scrittori preferiti, al momento, è Gary Lutz, che è molto oscuro ma eccezionale. Anche i maestri del Realismo Magico sudamericano, Gabriel García Márquez e Jorge Luis Borges, e trovo che qualsiasi scritto di Alejandro Jodorowsky sia assolutamente affascinante, anche se più autobiografico.
Come si è evoluta la cultura del Pop Surrealismo e cosa rimane oggi del Surrealismo avanguardista?
La cultura pop surrealista si è sviluppata dal movimento underground nella West Coast degli Stati Uniti, in particolare a Los Angeles, come una reazione alla noia e alla sterilità del mondo dell’arte elitario, che si concentrava prevalentemente sull’Espressionismo Astratto e sul Concettualismo. Il suo campo di influenza proveniva da altre fonti come la cultura popolare, la musica, i cartoni animati, i fumetti e i film. Questo movimento celebrava il lavoro figurativo e narrativo che veniva ignorato dal mainstream. Credo che ora il problema è che ci sia un’esagerata saturazione di questo tipo di lavoro, e che molto di questo celebri maggiormente la tecnica al di sopra della sostanza. C’è invece bisogno di un lavoro più profondo in questo campo.
Chi è per te Walt Disney?
Walt Disney è sempre stato tra le mie più grandi fonti di ispirazione, soprattutto i primi film come Biancaneve, Pinocchio e Bambi. Anche Fantasia, ma in un secondo momento. Credo che Walt Disney sia riuscito a instillare un po’ di quel Realismo Magico nella cultura americana. Ha anche preso in prestito elementi dalle antiche favole e dalla mitologia e ha praticamente riraccontato le stesse storie per una nuova generazione di pubblico. Dunque non è stato tanto un “inventore” di nuove storie, quanto più un genio capace di vedere che mancava del magico nella nostra cultura, fornendo poi uno sbocco per esso. Disneyland è, e sempre sarà, una delle mie opere d’arte preferite!
Dopo Londra, Roma. Cosa ti affascina di questa città e qual è il tuo artista italiano di riferimento?
Ciò che amo di più di Roma è vedere tutti gli antichi dei e dee romane in giro per la città, e soprattutto il Pantheon. Mi piace immaginarli come delle vere entità magiche che socializzano con gli esseri umani e viaggiano attraverso lo spazio e il tempo sulle loro bighe nel cielo. È un modo molto colorato di immaginare il mondo. L’artista italiano che mi ispira maggiormente è il matematico Fibonacci. Essendo uno studioso della ripetitività della natura, il modo in cui ha riconosciuto la sottostruttura matematica che sottostà a essa è molto affascinante.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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