Un museo permanente del design a Milano? Intervista a Silvana Annicchiarico
La direttrice del Triennale Design Museum ripercorre la storia del museo milanese. Dicendo la propria sulla polemica sorta attorno all’ipotesi di realizzare un “museo permanente” del design italiano nella metropoli lombarda.
Sono settimane caldissime per la Triennale di Milano: l’inaugurazione di una nuova edizione del “museo mutante” ‒ nonché della Triennale Design Week ‒ è alle porte mentre non si è ancora placato il dibattito – ne avevamo parlato sull’ultimo numero di Artribune Magazine ‒ sulle prerogative e la destinazione di un “museo permanente” del design italiano a Milano. Per continuare ad approfondire il tema, dando conto alle voci di chi in questo dibattito ha un ruolo necessariamente privilegiato, abbiamo chiesto alla direttrice del Triennale Design Museum, Silvana Annicchiarico, di ripercorrere con noi le tappe, le peculiarità e le conquiste della formula curatoriale inaugurata dieci anni fa dalla Triennale. E di offrirci il suo punto di vista sulla nuova, possibile destinazione del “museo permanente” del design milanese.
Il Triennale Design Museum ha compiuto dieci anni lo scorso dicembre. Partiamo da un bilancio delle sue attività: quante le edizioni inaugurate e i visitatori che lo hanno frequentato? Al di là dei numeri, quale a suo avviso l’impatto sulla cultura del progetto e sulla diffusione del design italiano?
Dal 2007 il TDM ha inaugurato dieci edizioni (il 13 aprile inaugura l’undicesima) e ha raccolto quasi 2 milioni di visitatori. Ha coinvolto circa una quarantina di curatori. Ha esportato mostre sul design italiano in una cinquantina di città nel mondo, da Pechino a Seoul, da Mumbai a Melbourne, da Londra a San Parigi e ha realizzato in Triennale oltre 160 esposizioni sul design italiano e internazionale. Abbiamo dato una risposta concreta, credo, alla domanda da cui siamo partiti (e da cui non si può non partire): perché un museo del design? E soprattutto: per chi un museo del design italiano? Per gli addetti ai lavori? Per le aziende produttrici? Per i designer e il loro legittimo desiderio di visibilità? Per tutti questi, certo. Ma non solo. Un museo del design non può essere solo per questi. Noi abbiamo cercato di fare un museo per tutti. Abbiamo perseguito un’azione di democrazia culturale. Abbiamo costruito un pubblico (che quindici anni fa non c’era). E abbiamo cercato di contribuire a diffondere nell’opinione pubblica e nei cittadini la consapevolezza della centralità del design nel sistema economico-produttivo italiano, ma anche nelle scelte formali e funzionali della vita quotidiana. Perché il design ha sempre inseguito questo sogno: portare la bellezza nella vita di tutti. Per undici anni TDM ha cercato di diffondere e promuovere questo sogno.
La formula del “museo mutante” ne ha fin da subito definito una specificità anche nel più ampio panorama dei musei internazionali. Ci vuole ricordare sotto quali auspici nasceva questa originale prospettiva curatoriale?
In questi undici anni siamo riusciti in quella che all’inizio poteva sembrare una sfida impossibile: realizzare un museo che cambiasse ogni anno ordinamento e narrazione, che si interrogasse incessantemente su se stesso, che fosse un dispositivo di ricerca e non solo di monumentalizzazione, e che riuscisse – in coerenza con la tradizione e la missione di Triennale ‒ a sperimentare ogni volta allestimenti diversi. Un museo del design non può essere confuso con un museo di arte figurativa. Il design ha a che fare con gli oggetti e gli artefatti del quotidiano. Una cosa è esporre Picasso o van Gogh, altra cosa esporre la moka con cui ti prepari il caffè ogni mattina. Perché il pubblico torni più di una volta a visitare un museo di questo tipo, occorre che gli oggetti siano inseriti in una narrazione, in un racconto, in una messinscena.
Una recente bagarre deflagrata sui giornali di cui abbiamo dato conto sull’ultimo numero di Artribune Magazine ha portato alla luce una criticità intravista nella formula del museo a tempo da parte di alcuni protagonisti della comunità milanese del design. C’è l’impressione che ci sia voglia di una presenza museale più muscolare, più vistosa e definitiva. Lei come risponde? La formula del museo mutante va in crisi?
Io credo che la formula mutante vada perseguita. Accanto a questa occorre una maggior stabilizzazione e una continua ricerca della costruzione della storia. Quest’anno abbiamo messo a punto un nuovo modello curatoriale ed espositivo. Ovvero da una parte raccontiamo la storia del design italiano attraverso 180 icone del Novecento, dall’altra sviluppiamo cinque approfondimenti disciplinari – Politica, Geografia, Economia, Comunicazione e Tecnologia – che permettono di leggere la storia del design da nuovi punti di vista. Anche il contemporaneo è affrontato in museo mettendo in evidenza una delle componenti più nevralgiche del sistema, ovvero quella della vendita. All’interno del museo sarà possibile sperimentare alcune modalità di acquisto, dal click and collect all’open source, dall’e-commerce all’asta. Questo modello abbraccia in maniera trasversale la storia del design ma di volta in volta nei prossimi anni anche la selezione delle icone potrà essere riproposta secondo punti di vista curatoriali differenti. Perché quella del design è una storia che non è ancora sancita, scritta in maniera definitiva, ma aperta e passibile di differenti interpretazioni.
Quale dal suo punto di vista la collocazione ideale della collezione permanente del design italiano? Ci vuole anticipare qualcosa circa l’ipotesi di ampliamento del Palazzo dell’Arte per ricavare un piano ipogeo destinato ad accogliere la collezione permanente della Triennale?
L’idea su cui si sta riflettendo da tempo è quella di ripensare al piano della Triennale collocato al livello del parco. Attualmente vi sono i magazzini della Collezione e la Biblioteca del progetto. Se venissero riqualificati si potrebbe pensare a un archivio della Collezione visitabile già negli spazi attuali esistenti, con annessi gli spazi per lo studio, per la ricerca… e un ampliamento costituito da un’architettura ipogea nel giardino, per poter costruire una sorta di “Sancta Sanctorum” del design e proseguire parallelamente l’indagine critica e la ricerca. Con la convinzione che il museo debba continuare ad avere una doppia anima, una dedicata a tagli interpretativi storico-critici e l’altra alla individuazione e alla stabilizzazione progressiva degli oggetti ritenuti imprescindibili.
In parallelo si rafforza l’attività introno al museo. Nel 2007 abbiamo istituito un laboratorio di restauro e di studio della conservazione degli oggetti di design e abbiamo dato visibilità a quella rete di archivi, collezioni e musei aziendali che fanno dell’Italia un museo diffuso contribuendo a istituire realtà come la Fondazione Achille Castiglioni. Nel 2010 abbiamo aperto una sezione educational con la missione di avvicinare al design anche le nuove generazioni.
Guardando alla scena internazionale, quali le istituzioni museali che stanno offrendo esperienze positive su cui riflettere? C’è qualche modello virtuoso da cui si potrebbe prendere ispirazione, fermo restando la specificità nazionale della nostra collezione e della nostra cultura progettuale?
Il Vitra Design Museum rappresenta un modello virtuoso perché ha la capacità di far convivere l’aspetto della conservazione, dell’archivio con la ricerca e la produzione culturale sperimentando sulle architetture destinate a ospitare le collezioni e gli spazi espositivi.
In questi giorni inaugura la nuova edizione del museo. Cosa potranno scoprire durante la design week e oltre i visitatori in Triennale?
Durante la Design Week, La Triennale oltre a Storie. Il design italiano, undicesima edizione del Triennale Design Museum, presenta 18 mostre da Italia, Cina, Giappone, Corea e Polonia, oltre a eventi, attività e musica e uno speciale temporary shop, che abbiamo chiamato La grande occasione, Bargain Design 80 % Off. Venderemo a prezzi d’occasione una selezione di oggetti della collezione De Gustibus di Design Memorabilia, oltre alle pubblicazioni e al merchandising della Triennale. Fino all’80% di sconto sul prezzo originario su progetti di maestri e designer, da Gae Aulenti a Cini Boeri, da Gianfranco Frattini a Ettore Sottsass, da Richard Sapper a Joe Colombo, da Aldo Cibic a Michele De Lucchi, da Alessandro Mendini a Paola Navone e Federica Marangoni. Un’occasione unica per festeggiare la Design Week rendendo il design veramente accessibile a tutti. Mentre a Monza al Belvedere della Villa Reale dal 15 aprile presentiamo il progetto Il Design e il Territorio: cinque mostre dedicate a 1 designer (Gianfranco Frattini), 2 aziende (Arredoluce e Vimercati Hats 1953), 1 premio (La Selettiva di Cantù) e 1 materiale (le fibre vegetali) per raccontare il design nel territorio di Monza e Brianza.
‒ Giulia Zappa
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