Mendrisio e l’architettura. Parola a Mario Botta
È l’ideatore e il fondatore dell’Accademia di architettura di Mendrisio. Sta costruendo un Fiore di Pietra sulla vetta del Monte Generoso. È Mario Botta, classe 1943, architetto celeberrimo in tutto il mondo. Ed è nato proprio a Mendrisio.
Qual è, a distanza di vent’anni, l’impatto dell’Accademia di architettura sul territorio?
L’Accademia nasce vent’anni fa, grazie al sommarsi di una serie di circostanze politiche e culturali favorevoli, ma anche a istanze connesse alla storia e alla memoria locale, che insieme hanno creato un’opportunità che abbiamo colto al volo. Anche la Svizzera italiana ha potuto così istituire una scuola universitaria in ambito architettonico. In un certo senso, attraverso l’Accademia, abbiamo cercato di testimoniare un’identità locale e pagare un debito di riconoscenza culturale verso le schiere di architetti, costruttori, capimastri e decoratori che, per secoli, hanno lasciato le nostre terre e i nostri laghi per lavorare e costruire in tutto il mondo. Proprio tenendo a mente questa ricchezza di storia, di memoria e di cultura abbiamo scelto la denominazione di “accademia”, in modo da connotare e distinguere la nostra dalle scuole politecniche di Zurigo e Losanna.
L’Accademia ha una vocazione umanistica. In che modo tale peculiarità si riflette nella didattica?
L’attenzione verso le discipline umanistiche è l’elemento portante della nostra offerta. Siamo convinti che, per affrontare la complessità e la rapidità delle trasformazioni in atto nei nostri tempi di imperante globalizzazione, l’architetto abbia bisogno di una maggiore preparazione legata alle scienze umane: più filosofia, più storia, più storia dell’arte. Le discipline umanistiche sono necessarie anche per filtrare gli eventuali “pericoli” di un cambiamento talvolta troppo veloce, per il quale le soluzioni esclusivamente tecniche e funzionali possono rivelarsi insufficienti. Una scuola universitaria deve fornire una formazione di base e, soprattutto, deve rivelarsi in grado di sensibilizzare gli studenti sui problemi del proprio tempo. È la coscienza critica del “fare” a dover maturare all’interno dell’università. Devo ammettere che questa, che all’epoca fu una scommessa, si è rivelata vincente. Grandissimo è stato l’interesse suscitato: l’Accademia conta oggi la presenza di oltre 800 allievi da 40 Paesi e la crescente richiesta da parte di docenti da tutto il mondo che vorrebbero venire qui a insegnare.
A supporto dell’attività didattica, nell’autunno 2017 aprirà il Teatro dell’Architettura. Cosa può anticiparci?
Accanto all’edificio Turconi, dove ha avuto inizio l’attività dell’Accademia, sta nascendo una struttura nuova, a pianta circolare, articolata su cinque livelli. Ispirandoci ai teatri anatomici, stiamo realizzando un vero e proprio “strumento” per dare visibilità alle ricerche, agli studi, agli eventi, alle mostre e ai convegni intorno alla disciplina, con particolare riguardo alle iniziative che vedranno coinvolti gli studenti. Apriremo con tre grandi appuntamenti espositivi: un’ampia retrospettiva su Louis Kahn; una mostra interna all’Accademia con i lavori dell’Atelier Riccardo Blumer, sull’idea di un’architettura mobile; e Fertility, di un artista belga ancora poco noto, Koen Vanmechelen, che indaga i temi della fertilità e della biologia. Non sarà un luogo per la didattica tradizionale, ma un ambiente che, attraverso un generoso spazio centrale, si presterà a una fruizione in grado di accogliere differenti forme espressive: dal cinema al teatro, dalle mostre agli incontri. La gestione spetterà all’Accademia stessa e alla Fondazione Teatro dell’Architettura.
A fine marzo ha inaugurato invece il Fiore di Pietra. Quali sono i riferimenti formali?
Ubicato sulla vetta del Monte Generoso, si può raggiungere a piedi oppure con un viaggio di 30 minuti con un trenino a cremagliera e ospita al suo interno due ristoranti. Si tratta di un volume a pianta ottagonale che si caratterizza per la grande forza plastica, quasi fosse un faro che fuoriesce dalla roccia per divenire un “Fiore di Pietra” che sembra aprirsi verso l’alto per poi richiudersi. L’andamento della roccia di inserimento è in parte contrastato dalla geometria – molto forte, euclidea, platonica – dell’edificio che è un autentico solido, i cui angoli sono stati concepiti come petali. Può essere interpretato quasi come fosse una sorta di castello in grado di consolidare la cresta della montagna stessa; un belvedere sulla sommità che raccoglie in sé un alto valore metaforico.
Vista l’unicità del sito, il cantiere presenta specifiche complessità. Come avete operato?
Per costruirlo, abbiamo innalzato un’apposita teleferica lunga 2,5 chilometri, che è stata smontata al termine del cantiere, per portare a valle i detriti e trasportare in vetta i materiali necessari. L’infrastruttura è stata pensata per salvaguardare l’ecosistema e mantenere pulita la montagna, evitando di creare strade per i mezzi.
– Valentina Silvestrini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33 – Speciale Ticino
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