Intervista a Richard Gluckman, l’architetto dei musei
In residenza la scorsa primavera all’American Academy in Rome, il progettista statunitense, artefice di decine di gallerie d’arte e spazi museali in tutto il mondo, delinea un ritratto della sua carriera. Ricordando le fondamentali esperienze con Richard Serra e Dan Flavin.
Nel 2017 l’architetto Richard Gluckman ha festeggiato i 70 anni, celebrando anche il traguardo dei 40 anni di attività professionale con il suo studio. Una carriera costellata di interventi su scala internazionale, resa riconoscibile dalla progettazione di spazi destinati all’arte: sue, solo per citare un esempio, due delle sedi newyorkesi della Gagosian Gallery.
Con sede a New York, lo studio Gluckman Tang – Dana Tang è entrata nella società nel 2015 – è attualmente impegnato in progetti per committenti pubblici e privati. Due, tra i cantieri in corso d’opera, le realizzazioni in progress più rilevanti: lo Zhejiang University Museum of Art and Archaeology (ZUMAA), un museo didattico che sostiene la ricerca e lo studio delle arti compreso all’interno di uno dei campus universitari della città cinese di Hangzhou, e il Korman Center di Philadelphia, finalizzato all’espansione e al rinnovamento del Drexel University’s Korman Center.
L’INTERVISTA
Come progettista di musei e gallerie d’arte, si è distinto per interventi in profonda connessione con il contesto e con le opere; lo testimonia, ad esempio, il Museo Picasso, a Malaga. Per conseguire tali risultati, quanto conta la sinergia con tutti i soggetti coinvolti nel processo?
La mia intera carriera dipende dalla collaborazione con direttori, curatori, artisti, collezionisti: si fidano di noi e sono consapevoli che concepiamo le nostre architetture come cornici/dispositivi che inquadrano le opere d’arte. Privilegiamo il rapporto tra lo spettatore, l’opera d’arte e lo spazio che condividono. Il progetto del Museo Picasso, ad esempio, non sarebbe stato realizzato così come è oggi senza la stretta relazione con Carmen Gimenez.
Proprio all’inizio della carriera, ha lavorato con artisti come Dan Flavin e Richard Serra. In quale modo queste esperienze hanno contribuito a modellare la sua visione architettonica?
Flavin mi ha insegnato il rispetto per il contesto. La sua opera puntava all’interazione con il luogo di inserimento: l’arte e l’architettura diventavano un’unica cosa. Questo mi ha aiutato a capire quanto il nostro lavoro non sia “neutrale”, ma incida sulla relazione che si instaura con un certo tipo di opera, per un determinato arco temporale. Un processo che non può dirsi completo fino a quando non viene “collaudato” da parte dell’utente. Serra condivide una posizione simile rispetto al ruolo della preesistenza, usandola direttamente nel processo di genesi dell’idea. Il suo lavoro reagisce e interagisce con lo spazio in cui si inserisce. Tuttavia, in questo caso, credo di essere stato soprattutto influenzato dalla sua strategia nel concepire le forme e nel ricorso alle formule matematiche per risolverle e generarle; è questo l’approccio che ha ispirato molti dei nostri progetti. Con il passare degli anni le formule che adotta sono diventate via via più complesse poiché continua a sfruttare le capacità della tecnologia più avanzata di disegnare e produrre nuove forme.
Nel 2014, lo studio Gluckman Tang ha ultimato il recupero e l’espansione del Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum, a New York. In questo caso, avete incrementato del 60% la superficie espositiva agendo in una cornice storicizzata. Come avete operato, nel dettaglio?
Nel nostro modo di fare architettura, la collaborazione con gli ingegneri è fondamentale per conseguire la totale integrazione di tutte le componenti tecniche del progetto. In alcuni casi vengono totalmente nascoste, in altri diventano parte dell’architettura. Non vogliamo delegare la cura di tali dettagli ai consulenti, ma lavorare con loro per conseguire una soluzione soddisfacente.
Più recente è stata la partecipazione al concorso per l’ampliamento del Museo del Prado – che sarà realizzato da Norman Foster. Il vostro progetto “distingue il nuovo e rispetta l’esistente”…
Siamo convinti che il concept di un progetto nasca dall’incontro fra il suo contenuto e il contesto in cui sarà inserito. In altre parole, il progetto deriva dal programma e dal sito. Per quanto riguarda la relazione tra il vecchio e il nuovo, Don Knorr, un architetto californiano degli Anni ’50, ha affermato che “la disintegrazione dell’architettura storica e contemporanea rafforza e preserva l’integrità di entrambe”. È ancora valido come principio.
Ha fondato il suo studio nel 1977. In questi quarant’anni il ruolo dei musei e delle gallerie d’arte si è evoluto, così come le aspettative dei visitatori. Alla luce della sua esperienza, quali saranno le qualità fondamentali della prossima generazione di spazi museali?
I musei devono essere inclusivi. Devono offrire una crescente varietà di spazi per l’arte, per i video, per le performance, per la pedagogia. Gli edifici devono essere flessibili, così da fornire una varietà di spazi, diversamente dal modello della “kunsthalle”. Le istituzioni devono agire come incubatori, catalizzatori e piattaforme per nuove tipologie d’arte. In ogni caso, sarà sempre di fondamentale importanza il rapporto tra lo spettatore, l’opera d’arte e lo spazio che condividono.
‒ Valentina Silvestrini
http://gluckmantang.com
www.aarome.org
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