Richard Meier come Weinstein? L’archistar nella bufera: piovono accuse di molestie sessuali
Un gigante dell’architettura contemporanea coinvolto nello scandalo sulle molestie sessuali: donne ricattate, quasi sempre sul posto di lavoro, che a distanza di anni decidono di denunciare. Vincendo la vergogna e la paura. Il fenomeno non si arresta e non risparmia grandi personaggi del mondo della cultura.
Lei è una designer d’interni, lui un celebre architetto. L’America del jet set e dell’art system sullo sfondo, una cena inaspettatamente intima al centro del racconto. I commensali non si presentano, i posti occupati restano due. Qualcosa non torna, il copione suona tanto familiare quanto sinistro, ma le portate scorrono insieme alla conversazione. Poi, insieme al dessert, arriva l’epilogo sgradito. Lui prova a baciarla, lei non ci sta, lui insiste e la faccenda non finisce lì: “Mi ha afferrata dalla schiena con entrambe le braccia – ed è un uomo grosso – e ha iniziato a tirarmi indietro. Mi sono girata e allontanata, lui mi ha afferrato un braccio e ha iniziato a trascinarmi lungo il corridoio verso la camera da letto. Poi mi spinge sul letto e si sdraia su di me, e mentre mi torco e lo spingo via, dicendo ‘No, no, no’, lui continua. Non ho mai vissuto niente di simile. Ero piuttosto aggressiva mentre mi rifiutavo, ma lui non ascoltava”. Per fortuna Carol Vena-Mondt riesce a divincolarsi; raggiunge la sua auto, chiude le sicure e scappa.
LA CADUTA DEL REGNO. MEIER ALLA GOGNA
Quello che oggi racconta con dovizia di dettagli al New York Times, a distanza di molti anni e senza temere di esporsi, assomiglia a un tentativo di stupro, più che a un’avance ostinata tramutatasi in molestia. E la cosa si fa più inquietante se nel ruolo dell’aggressore c’è una star internazionale del calibro di Richard Meier. 83 anni, 55 di carriera, all’attivo una miriade di successi e di riconoscimenti: uno su tutti il celebre Pritzker Prize, conquistato nel 1984. E poi decine e decine di committenze prestigiose, firmando alcune tra le più importanti architetture del mondo, dal Getty Museum di Los Angeles al Museo dell’Ara Pacis a Roma, dal MACBA di Barcellona alla nuovissima Torre Cuarzo on Reforma di Mexico City.
Oggi per Meier arriva il tracollo, l’umiliazione, il dito puntato, il gossip al veleno, il processo tra i media e i salotti borghesi, l’isolamento, la vergogna, il vestito da imputato. Denunce e tribunali? Forse, chissà, probabilmente no. Perché la vicenda è simile, persino nei dettagli più scabrosi, a quella che ha colpito di recente il mega produttore Harvey Weinstein e che ha messo sottosopra l’America (e non solo): le accuse arrivano tardi, le prove non sussistono più, le vittime escono allo scoperto sull’onda di una protesta collettiva che incoraggia e che muove qualcosa sul piano dell’immagine pubblica, della rispettabilità, della morale comune. Ed è lì – in USA soprattutto, in Italia un poco meno – che anche i giganti cadono, che le giostre si fermano, che le carriere si infrangono. Tutti sanno tutto, quasi sempre in certi giri. Ma è solo quando qualcuno parla, trovando un amplificatore mediatico potente, che il sistema ipocritamente si schiera, s’indigna e chiude le porte all’orco.
TUTTE LE DONNE DELL’ARCHITETTO
Nel caso di Meier i problemi non sono legati solo a quell’approccio focoso, trasformatosi in aggressione. Le accuse sono diverse e tutte spiacevoli, pesanti. Cinque, al momento, quelle registrate con nome e cognome. E a parte la signora Vena-Mondt, si tratta sempre di collaboratrici dello studio Meier. Da Laura Trimble Elbogen, a cui l’architetto nel 2009 chiese di spogliarsi mentre erano nel suo appartamento, a Judi Shade Monk, palpeggiata durante una festa, fino alla 22enne Alexis Zamlich, di fronte a cui Meier si tirò giù i pantaloni e a cui si sussurra furono offerti 150.000 euro come risarcimento legale, con tanto di accordo di riservatezza.
Qualcosa di simile pare sia accaduta a Stella Lee, rimasta “pietrificata” quando, giunta per impegni professionali a casa del suo capo, se lo trovò nudo, con l’accappatoio aperto e le grazie al vento: “Ho cercato di gestire il mio panico concentrandomi sul lavoro”, racconta, “ma nel corso della giornata lui ha fatto diverse battute inappropriate – delle quali mi aveva avvisato un collega – chiedendomi ad esempio se mi piacessero le saune e se volessi farne una nel suo bagno“. A metterci il carico è Lisetta Koe, ex responsabile della comunicazione dell’azienda: “Inseguiva sempre le donne e niente lo fermava. Ha tentato anche con me e l’ho rifiutato“.
IN CONGEDO TEMPORANEO
La tempesta a sorpresa chiamata “MeToo” – dal nome dell’hashtag che ha coinvolto eserciti di donne, invitando alla denuncia – continua dunque a mietere vittime. Cinema, moda, arte, architettura. Senza tregua. Dinanzi al vaso dei ricatti e delle prepotenze, finalmente scoperchiato, là dove l’esercizio del potere mischia sesso e lavoro come il più antico dei vizietti, il dibattito si infiamma. E se forse, al limite, non manca chi enfatizza per qualche grammo di visibilità, chi potrebbe aver sfruttato la situazione, dinanzi a colei che non fuggì ma cedette la platea si trastulla col gioco del giudizio sommario: fu fragilità, paura, impossibilità di sottrarsi, oppure fu il solito vendersi per far carriera? La discussione ha riempito pagine di giornali, trasmissioni tv e infiniti thread sui social, ma a prevalere è l’indignazione. A che punto siamo con l’annosa questione dell’emancipazione femminile, con quel corpo-oggetto da riscattare? Un cammino a due velocità: l’evoluzione dei diritti e delle opportunità in superficie; la vecchia pratica del ricatto sessuale che resta inestirpabile, come una mesta tradizione.
E intanto crollano dei e semidei, tirati giù dall’Olimpo della cultura e dello spettacolo. A partire da quel Weinstein, ex imperatore hollywoodiano, oggi ai margini dal sistema.
“Sono profondamente turbato e imbarazzato dai resoconti di diverse donne che erano offeso dalle mie parole e azioni”, ha dichiarato Meier, con una parziale ammissione. “Anche se i nostri ricordi possono essere diversi, mi scuso sinceramente con chiunque sia stato offeso dal mio comportamento“. Quindi la resa: “Sto lasciando l’azienda nelle mani di un team di senior management dedicato ed eccezionale, che ha trascorso gli ultimi trent’anni a servire i nostri clienti e a costruire il successo della nostra azienda“. Richard Meier molla il suo regno, al momento solo per un congedo di sei mesi. Magari col sospetto che una qualche azione giudiziaria possa prendere l’avvio.
A stridere con questa immagine da volgare molestatore sono certe azioni a favore delle donne, proprio nel campo del lavoro. Come quando sostenne la petizione in difesa della nota architetta Denise Scott Brown, a cui non venne riservata una quota del Pritzker Prizer, vinto nel ‘91 dal marito Robert Venturi con cui lavorava fianco a fianco. Forse un reale moto di solidarietà, forse una copertura per ripulirsi dinanzi all’opinione pubblica. Femminista o predatore? Avrà tempo, coi suoi 83 anni di successi e il suo ritiro temporaneo, per capire da che parte stare. Un po’ tardi, però.
– Helga Marsala
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