Architettura pulita. Alberto Campo Baeza a Roma

In occasione della consegna del Piranesi Prix de Rome alla Carriera 2018, all’Acquario Romano ‒ Casa dell'Architettura, l’architetto e professore spagnolo ha tenuto una lectio magistralis. Ripercorrendo la sua carriera e il ruolo dell’architettura antica nel suo linguaggio.

In una sala gremita, specialmente di studenti stranieri, Alberto Campo Baeza (Valladolid, 1946) ha ricevuto il prestigioso Piranesi Prix de Rome, l’alto riconoscimento alla carriera assegnato dall’Accademia Adrianea a chi ha saputo coniugare in modo fecondo architettura e archeologia, teoria e prassi. Prima di lui il premio è stato assegnato a figure del calibro di Rafael Moneo (2010), Guido Canali (2011), David Chipperfield (2012), Peter Eisenman (2013), José Ignacio Linazasoro (2014), Bernard Tschumi (2015), Yoshio Taniguchi (2016) ed Eduardo Souto de Moura (2017). Nella motivazione Pier Federico Caliari, Presidente dell’Accademia Adrianea, si è soffermato sul concetto di “Architettura pulita”, affermando come “quello che appare di fronte agli occhi ogni volta che si assiste al dispiegarsi compositivo delle architetture di Alberto Campo Baeza ‒ sia nel disegno che nella realizzazione ‒ è la pulizia della forma. E, di conseguenza, la sua esattezza. Questa percezione viene appagata a tutte le scale e, ancora di più, si presenta nelle gerarchie di volumi con cui il progetto lavora fino alla definizione precisa della sua dispositio”. Nel caso del progettista spagnolo siamo di fronte a un’architettura che “pone in primo piano quel lavoro attento di costruzione dei registri e dei tracciati regolatori, sui quali il progetto stabilisce rapporti e proporzioni, fino all’esaurimento della loro trasparente presenza sul tavolo da disegno. Fino alla dissoluzione dell’ultima linea di costruzione, che lascia spazio alla materia”. Citando Johann Joachim Winckelmann: “Nobile semplicità e quieta grandezza”.

Alberto Campo Baeza, House of the infinite, 2015 © Javier Callejas

Alberto Campo Baeza, House of the infinite, 2015 © Javier Callejas

MODERNITÀ CLASSICA O CLASSICITÀ MODERNA?

Introdotto da Emilio Faroldi, Prorettore delegato del Politecnico di Milano, a cui è affidata la prolusione che anticipa la lectio magistralis, Campo Baeza è stato definito come “esponente di spicco della scuola di Madrid, colui che ha saputo trovare un punto di intesa tra ambito compositivo e costruttivo attraverso la concettualizzazione dell’architettura, intesa come azione intellettuale, non elitaria, ma relativa all’intelletto, alla ratio ancor prima che all’intuizione”. Quando poi la parola è passata al diretto interessato, a emergere è stata un’appassionata riflessione sull’architettura antica, presenza costante nell’azione progettuale di Campo Baeza: quasi una lezione di letteratura comparata sul Pantheon e sugli autori che ne hanno scritto, da Cervantes a Stendhal, da Henry James a Goethe. Oggi Professore Ordinario di Progettazione nella Scuola di Architettura della Politecnica di Madrid, ETSAM, è stato anche docente nella ETH di Zurigo, nella EPFL di Losanna, nell’Università della Pennsylvania a Filadelfia, nella Kansas State University, nella CUA University di Washington, nell’Ecole d’Architecture a Tournai, Belgio e nell’Università di Buffalo, dove è stato nominato Clarkson Visiting Chair in Architecture del 2017.

Alberto Campo Baeza, Cala House Raumplan house, 2015 © Javier Callejas

Alberto Campo Baeza, Cala House Raumplan house, 2015 © Javier Callejas

PROGETTARE È RICERCARE

D’altronde”, ha raccontato Campo Baeza, “si può essere architetti o fare l’architetto. La differenza sta nella grammatica utilizzata, nelle radici, nel rapporto con la storia e nella ricerca costante della bellezza e del sapere, inteso come insieme di conoscenza, pedagogia e impegno”. Ricordando alcuni tra i momenti salienti della sua carriera, iniziata nel 1980, il progettista ha affrontato temi chiave come il concetto di tettonica, l’approccio quasi artigianale, la poetica radicata nei valori classici: “Ma vi prego non chiamatemi minimalista!”, ha affermato. Ha quindi ripercorso la genesi della Casa dell’Infinito (Cadice, 2014), forse il suo progetto più rappresentativo: un piano orizzontale puro, quasi un tempio senza il tempio, il tappeto di Aladino, l’ultimo baluardo prima dell’oceano (con cui instaurare un rapporto dialettico). Una scatola in travertino oniciato – per meglio avvicinarsi al colore ambrato della sabbia, più che al bianco ottico ‒, nata osservando la linea dell’orizzonte e ispirata dai volumi puri in sottrazione che Michel Heizer realizzò per la DIA Art Foundation di New York.
Un’architettura poetica, intellettuale, che lascia spazio al paesaggio e che si modifica grazie al lavorio del tempo e all’usura del vento: “Se Dio me lo consentirà”, ha confessato, “vorrei vederla tra 20-30 anni completamente mimetizzata con la vegetazione delle dune”. E ancora, riferendosi a un altro suo capolavoro ‒ la sede per uffici a Zamora (Spagna, 2012) ‒, ha sottolineato: “Si tratta del rapporto strettissimo con la luce e con il dualismo materico fra trasparenza e opacità. L’architettura in fondo nasce per essere vissuta, non fotografata, per restare sempre, non solo oggi. Progettare è ricercare”. Come contraddirlo?

Giulia Mura

www.campobaeza.com

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Mura

Giulia Mura

Architetto specializzato in museografia ed allestimenti, classe 1983, da anni collabora con il critico Luigi Prestinenza Puglisi presso il laboratorio creativo PresS/Tfactory_AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e la galleria romana Interno14. Assistente universitaria, curatrice e consulente museografica, con…

Scopri di più