Nel 2014, a Los Angeles, a qualche centinaia di metri dal pier di Santa Monica e dalla notissima Promenade, apre Please do not enter. Uno spazio privato, dedicato allo shopping ma lontano dalla strada. Un osservatorio a picco sul centro del più antico di Los Angeles, all’ultimo piano del PacMutua Building, al 523 West 6th Street. Please do not enter non si presenta come una galleria e nemmeno come un negozio al dettaglio, ma come una destinazione, una sintesi riformulata di entrambe le tipologie: a progressive men’s luxury retail and exhibition space.
Nicolas Libert ed Emmanuel Renoird, entrami di origini francesi – rispettivamente il proprietario di un’agenzia immobiliare d’élite e un noto interior designer – hanno predisposto un rifugio, un attico in cui la luce invadente di Santa Monica filtra con cautela e si posa esattamente sull’articolo perfetto. Un luogo in cui la vendita diventa un gesto non obbligatorio ma obbligatoriamente compulsivo, un atto per salvare, per proteggere ogni cosa dall’imperdonabile appropriazione altrui.
NOMI, NON BRAND
Quali manufatti trovare dunque e quali nomi (mai brand) ricercare, fra arte contemporanea, design, moda, accessori, profumi, essenze, gioielli, elettronica e libri d’arte? L’elenco sarebbe interminabile, ma risulta impossibile non nominare i lavori di Arik Levy e Vincent Lamouroux, così come i volumi, le creazioni di Grégoire Cheneau, Slava Mogutin, Brian Kenny, Valentin Loellmann, Elise Gabriel e OS&OS. Senza contare couturier come Walter van Beirendonck, Jean Paul Knott, 22/4, Gaspard Yurkevich e Misericordia.
La disposizione dosata di suppellettili, sculture, abiti, oggetti inspiegabili, sculture, fotografie mette in evidenza rarità limited edition oppure entità uniche, singolari. Come la serie da sfinge, enigmatica e rappresentativa, sostanzialmente inarrivabile, di vasi, tavolini, sgabelli, vassoi e contenitori di Guillaume Bardet dal titolo L’Usage des jours. Oppure come Da Vetro, selezione di ventidue vasi davvero fragilissimi disegnati da sette giovani designer provenienti da tutto il mondo, che hanno modulato portafiori a seguito di una residenza all’interno di Fabrica diretta da Sam Baron.
Ginevra Bria
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34
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