La pubblicità di Intimissimi indigna le femministe. Basta stereotipi. La bellezza diventa tabù?
Sono i cartelloni pubblicitari più chiacchierati della primavera 2017. Niente di particolare, a parte la bellezza assurda del soggetto. Ma c’è chi contesta l’ennesima ostentazione di corpi finti, perfetti…
Lei è Irina Shayk, stratosferica modella russa, scelta dalla catena di underwear Intimissimi per pubblicizzare il nuovo reggiseno-cult, una ‘bralette’ in pizzo che ha già conquistato la platea femminile. E se è il capo a funzionare, per estetica e per caratteristiche sartoriali, anche i manifesti hanno avuto il loro peso. O meglio, il corpo perfetto, il seno florido, il viso bellissimo e le labbra turgide di Irina. Uno scatto che buca. Nulla di originale, dal punto di vista fotografico e del plot della campagna, ma il soggetto fa quel che doveva fare. Sedurre, esaltare al meglio il prodotto e scatenare quell’inconsapevole meccanismo tra desiderio, identificazione e aspirazione, che porta il consumatore a proiettare lo sguardo sul piano del “vorrei, potrei, diventerei”. Tutto coniugato al futuro, come nella più salda delle tradizioni: pubblicità che ti promette quello che non c’è. Che non sei. Che potrebbe arrivare. Tipo un decolleté incantevole e un’allure erotica, sofisticata. Anche se non ti chiami Irina.
LA POLEMICA DELLE FEMMINISTE
L’immagine è diventata un tormentone. Pervasiva come tutte le pubblicità di grandi brand, ma con la capacità di non dissolversi nel rumore diffuso e di vincere la distrazione generale. E a qualcuno la cosa è andata di traverso. La solita pubblicità che alimenta gli stereotipi sul corpo femminile: così hanno detto, scritto, urlato le femministe mantovane di Non una di meno, movimento nato nel 2005 in Argentina per battersi contro la violenza sulle donne, il femminicidio, le discriminazioni di genere. Tanti collettivi sono spuntati sotto questo marchio in tutta Europa, Italia compresa. Ed è proprio dal gruppo di Mantova che è partita la protesta anti-Intimissimi, al grido di: “Il corpo perfetto è il TUO!!! Contro le narrazioni e le pubblicità sessiste” e per “rivendicare la pluralità dei nostri corpi”. Insieme ai post sui social è arrivata una campagna urbana di disturbo, con gli adesivi del collettivo appiccicati sui cartelloni incriminati. Su tutti la scritta a caratteri cubitali “anche questa è violenza”. E insomma, verrebbe da dire: un po’ di esagerazione. Se non di fanatismo. La questione del ruolo della pubblicità nella ridefinizione di canoni etici/estetici, di griglie culturali e di riferimenti valoriali, è nota: è indubbio che siamo dinanzi al più grande dispositivo di condizionamento sociale della modernità.
SE LA BELLEZZA DIVENTA TABÙ
Ma quello della violenza sulle donne è un tema serio. Ed è serio il ragionamento sui modelli proposti, sulle strategie che generano frustrazione e rispondono con l’illusione, sulle distorsioni, le sessualizzazioni ossessive, gli stereotipi di genere e le estremizzazioni. Occorre essere chirurgici e spietati quando serve. Quando è superfluo, no. Oppure tutto finisce dentro uno stesso calderone, destinato a produrre manierismi, retoriche gratuite: il cliché per uccidere il cliché. Vecchia storia.
La pubblicità di Intimissimi fa il suo lavoro. E lo fa mediamente bene, nel segno della tradizione. Mettere in evidenza un bel seno per vendere un reggiseno? Tanto ovvio quanto efficace. E non è certo un caso spudorato di sexymarketing, non è il famoso silicone sigillante della “brava Giovanna brava” o un decolleté per reclamizzare un detersivo, non è il classico spot che usa doppi sensi imbevuti di pornografia, non è il ritratto di una donna sottomessa e fragile, non è una cover con una modella sofferente, che confonde la denutrizione con lo charme. È l’immagine di una donna sana, fiera, in cui la bellezza si compie nei termini di perfezione, armonia, seduzione, consapevolezza. Cosa che non può essere un tabù.
La messa in scena (o in vetrina) di un bel corpo, per valorizzare un capo, per costruire meccanismi di ammirazione e desiderio, ha la sua legittimità. E convive con altri approcci, con altre scelte, vedi il taglio assolutamente corretto scelto da Dove, incentrato sulla bellezza come genuinità e sul valore delle differenze: assolutamente corretto, anche se si tratta sempre di cavalcare un certo trend. Tutto dipende dalla strategia adottata, dal prodotto da pubblicizzare (nel nostro caso, per l’appunto, un reggiseno!), dalla storia del brand, dal discorso tutto interno alla specifica marca.
Piuttosto, se si arriva a sostituire la fatica di scegliere, di educarsi, di valutare, con la dittatura del politically correct e con la censura facile, non è mai un bel momento. Fronteggiare il bombing di immagini mediatiche è un fatto di sopravvivenza, di ginnastica visiva e intellettuale. Rispondere con l’imposizione di un altro canone (il curvy, il normale, il qualunque, il diverso) è la resa peggiore.
– Helga Marsala
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