Venezia 74: la realtà virtuale al Lido. La sezione in concorso dedicata alle nuove tecnologie
La realtà virtuale torna a Venezia per la 74ma Mostra Internazionale d’arte Cinematografica con una sezione del concorso dedicata esclusivamente alle nuove tecnologie e al futuro delle esperienze audiovisive. Le immagini.
Tralasciando le ultime produzioni cinematografiche internazionali presentate in anteprima, la novità assoluta di questa 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è sicuramente rappresentata dall’inserimento, all’interno del concorso, di film e cortometraggi realizzati interamente in realtà virtuale. Aveva debuttato lo scorso anno al Lido, ma quest’anno ritorna con una sezione molto più strutturata, volgendo lo sguardo alle ultime innovazioni tecnologiche, e, di conseguenza, al futuro stesso dell’industria cinematografica. Allestito nell’isola del Lazzaretto Vecchio, Venice Virtual Reality ha offerto la possibilità di visionare 31 opere, di cui otto fuori concorso, attraverso tre modalità diverse: le postazioni girevoli dotate di visori nel VR Theater, le installazioni immersive e la visione “stand up” che prevede anche fruizioni interattive.
TRA LAURIE ANDERSON E GINA KIM
Se nel VR Theater è possibile visionare collettivamente produzioni a volte crude e comunque estremamente realistiche (come il coreano Bloodless della regista Gina Kim), nello spazio dedicato alle installazioni lo spettatore/utente viene guidato all’interno di veri e propri ambienti immersivi dove determinate azioni, messe in atto da attori, interferiscono con ciò che viene mostrato, riuscendo perfino a provocare esperienze sinestetiche. Emblema di questi approcci è sicuramente la spettacolare La camera insabbiata, opera realizzata a quattro mani dalla storica sperimentatrice americana a tutto tondo Laurie Anderson e dall’artista multimediale Huang Hsin-Chien. L’opera in questione consente al fruitore di “volare” all’interno di uno spazio altro costituito da parole, tracce grafiche e suoni da poter comporre e modellare con la voce e a proprio piacimento. Il progetto prevede inoltre l’archiviazione di tutte le composizioni realizzate dagli spettatori, creando così una sorta di memoria consultabile da ogni fruitore successivo. Diversamente dalle esperienze precedenti, le postazioni Stand up, caratterizzate principalmente da animazioni 3D che spesso ammiccano all’universo dei videogiochi, danno la possibilità di esplorare lo spazio fisico circostante compiendo azioni che vengono suggerite dall’investigazione stessa dei coinvolgenti luoghi virtuali.
FANTASCIENZA E DOCUMENTARI IN MOSTRA
Il fantascientifico Free whale, magistralmente diretto dal cinese Zhang Peibin e incentrato sul concetto di empatia relazionata alle intelligenze arificiali, e il documentaristico Groenland melting, realizzato da Catherine Upin, Julia Cort, Nonny de la Peña e Raney Aronson-Rath, sono solo due dei numerosi esempi da poter fare. Le categorie alle quali ogni autore concorre sono le seguenti: Miglior VR, Migliore Esperienza VR (per contenuto interattivo), Migliore Storia VR (per contenuto lineare). La scelta del vincitore sarà invece compito di una giuria internazionale costituita dal nostrano Ricky Tognazzi (Milano 1955), dalla sceneggiatrice e regista francese Ce’line Sciamma (Pontoise, 1978) e dall’ormai consacrato papà dei “Blues Brothers” John Landis (Chicago, 1950).
IL CINEMA DEL FUTURO
Con l’avvento di dispositivi quali i visori VR, come l’Oculus Rift o l’Htc Vive, si è testimoni di un cambiamento che riguarda non solo la fruizione dei prodotti audiovisivi, ma anche e soprattutto la percezione del concetto stesso di realtà. Offrendo allo spettatore la possibilità di avvertire fisicamente delle sensazioni molto forti e di muoversi all’interno di narrazioni ben precise, la stessa pratica dello storytelling viene messa in discussione nel momento in cui più strutture narrative si intersecano tra loro creando così un terzo elemento, figlio della fusione tra il fruitore dell’opera e il protagonista della storia narrata. Probabilmente esperienze simili non sono altro che l’evoluzione “naturale” dello stupore che strumenti come la lanterna magica, il fenachistoscopio o le prime produzioni dei fratelli Lumière hanno provocato all’epoca della loro invenzione. Ma a questo punto è giusto parlare ancora di cinema? O forse stiamo per entrare nell’era del “post cinema”? Che i confini si stiano facendo sempre più labili è oramai un dato di fatto, l’impressione invece di essere giunti a una fase in cui le “semplici” e già esplorate sensazioni comuni non siano più in grado di soddisfarci è ancora tutta da vedere e studiare. Magari questa volta a occhio nudo…
– Valerio Veneruso
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