Come brilla l’architettura giapponese. Al MoMA di New York

I più importanti architetti giapponesi sono in mostra al MoMA di New York. Per l’ultima mostra di Pedro Gadanho, ormai ex curatore della sezione architettura presso il museo statunitense e ora direttore del nuovo MAAT di Lisbona. Siamo volati nella Grande Mela e abbiamo intervistato tutti i protagonisti.

UNA COSTELLAZIONE IN ESTREMO ORIENTE
Una costellazione è composta da una moltitudine di stelle, e non da una sola stella“. Questa è la prima affermazione che Pedro Gadanho, alla fine del suo mandato come curatore della sezione architettura presso il MoMA di New York e ora direttore del nuovo MAAT di Lisbona (qui trovate l’intervista con Amanda Levete, che lo ha progettato), utilizza per spiegare l’essenza della sua mostra finale chiamata A Japanese Constellation: Toyo Ito, SANAA and beyond.
Il visitatore è immerso in uno spazio raffinato che parla di leggerezza e traslucenza. Un layout semplice composto da pannelli di stoffa che si intersecano, dividendo le aree dedicate ai diversi architetti con modelli, disegni e immagini proiettate, schizzi, alcune volte intuizioni primitive che accennano spazio e struttura. A Japanese Constellation, che presenta una panoramica della carriera di Toyo Ito e la sua influenza come mentore di una nuova generazione di architetti giapponesi, allestisce opere recenti di Kazuyo Sejima, Ryue Nishizawa, Sou Fujimoto, Akihisa Hirata e Junya Ishigami.

SANAA, 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, 1999-2004 - photo © SANAA

SANAA, 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, 1999-2004 – photo © SANAA

UN PROBLEMA DI SCALA
Centrata sul lavoro seminale di Ito per la Mediateca di Sendai, completata nel 2001, e il 21st Century Museum of Contemporary Art di SANAA di Kanazawa (2004), la mostra presenta progetti a varie scale.
E la scala è qualcosa che colpisce subito il visitatore. I progetti presentati non parlano di vastità, anche quando sono di grandi dimensioni, e non parlano di confinamento, anche quando sono compressi in un lotto urbano di Tokyo. Sono sempre aperti in un dialogo continuo l’uno con l’altro e con l’ambiente circostante. Anche se la scala è riconoscibile almeno attraverso la tipologia, le qualità spaziali sono sempre coerenti. Comunicano un senso di apertura, leggerezza e ariosità. Spesso in lotta tra la trasparenza e la traslucenza dei loro delicati curtain walls e il candore dei loro involucri, gli spazi risultanti sono in dialogo con il nostro spirito e con il contesto. È una conversazione con i sensi e con la misura del loro peso spaziale.
Questi manufatti architettonici, invece di suggerire geometria, suggeriscono le qualità associate a essa. Il suono del vento che viaggia attraverso l’edificio di SANAA per Grace Farm è forse paragonabile all’intensità della luce che penetra nell’edificio: viene amplificata. Come la stessa Kazuyo Sejima ci racconta, “dico sempre che i prospetti sono la continuità tra esterno e interno, penso che il progetto delle facciate proviene dall’esperienza interna, in maniera da evidenziare la continuità tra l’edificio e l’ambiente circostante”.

Junya Ishigami, Kanagawa Institute of Technology Workshop, Kanagawa, 2005-08 - photo © Junya.Ishigami + Associates

Junya Ishigami, Kanagawa Institute of Technology Workshop, Kanagawa, 2005-08 – photo © Junya.Ishigami + Associates

LUCE E TRASPARENZA
La trasparenza e la continuità dello spazio del Kanagawa Institute of Technology Workshop di Junya Ishigami, con le sue sottili colonne casualmente disposte, è vicino ad avere la qualità di uno spazio all’aperto che dà agli utenti la possibilità di un proprio movimento all’interno dell’edificio senza seguire lo script predeterminato della circolazione. La scala della struttura definisce lo spazio, una struttura che si sforza di essere invisibile, negando il suo significato tettonico.
E di ariosità parla l’architettura di Toyo Ito. I suoi edifici vogliono obbedire alla natura, la posizione imprevedibile dei rami in un albero, con il loro ordine preciso non sono solo un’ispirazione iconografica, ma serve come regola geometrica. Il vento che gonfia la copertura del suo Meiso no Mori Municipal Funerary Hall definisce la scala e l’ordine della struttura in calcestruzzo. Immediatamente si trasforma in tessuto, conferendo leggerezza ad uno spazio programmaticamente pesante. La natura non è lineare, è complessa e instabile e allo stesso tempo flessibile. Questo è esattamente il paradigma della Mediateca di Sendai, che divenne un simbolo all’indomani del terribile terremoto nel 2011. L’edificio si è adattato alla potenza della natura.
Toyo Ito ci spiega “La bellezza deve svolgere un ruolo importante, ma dovrebbe essere applicata alla costruzione di edifici che abbiano un ruolo sociale invece di progettare edifici come oggetti da guardare. Ci dobbiamo adattare al nostro tempo pieno di difficoltà e contraddizioni”.

Toyo Ito, Sendai Mediatheque, Miyagi, 1995-2001 - photo © Naoya Hatakeyama

Toyo Ito, Sendai Mediatheque, Miyagi, 1995-2001 – photo © Naoya Hatakeyama

GIAPPONE E NATURA
La natura sembra essere la costante presenza negli edifici, modelli e disegni di Sou Fujimoto: “Per me la definizione di natura è sempre poco definita, ambigua. A volte è la natura reale, a volte è il sistema che viene rappresentato dalla natura, altre volte e’ la bellissima complessità della natura creata da regole semplici”.
E natura come forma di co-esistenza con l’architettura può essere trovata nel lavoro di Akihisa Hirata. La sua idea di architettura ha una reale preoccupazione per l’ambiente. I progetti sono habitat che promuovono l’interazione tra esseri umani e l’ambiente. La sua nozione di ecologia è la più pura, e con le sue stesse parole viene concettualizzata con il nome di “groviglio“.

ARCHITETTURA DELL’IMPEGNO
Questa mostra rappresenta l’antitesi dell’archistar. Ci ricorda che se il maestro supporta i propri discepoli ne guadagnano tutti: è un modo positivo di pensare alle tante ore spese dai giovani negli studi degli architetti più affermati. Sposta l’attenzione del progetto sul ruolo sociale dell’architettura, come ci dice Pedro Gadanho: “Vorrei che i visitatori vadano oltre il fatto estetico, che osservino il lavoro di questi architetti che, soprattutto con il loro lavoro post terremoto del 2011, hanno davvero preso coscienza del ruolo sociale del loro lavoro. Hanno capito che, per essere rilevanti, devono contribuire al dibattito sociale, pensando alle esigenze degli utenti”.

Alessandro Orsini

www.moma.org

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alessandro Orsini

Alessandro Orsini

Alessandro Orsini ha studiato a Roma alla Facoltà di Architettura di Roma Tre con Alessandro Anselmi e Tommaso Giuralongo e a New York presso la Graduate School of Planning and Preservation della Columbia University con Yehuda Safran. Prima di fondare…

Scopri di più