Il critico d’arte sostituito da una macchina. Una mostra curata a Parigi da un gruppo di antropologi mette in scena Joe Berenson, il robot che analizza le opere
Un robot si aggira per le strade di Parigi, fa il critico d’arte e fa parte di una mostra. Si chiama Persona. Strangely Human, si tiene fino a novembre 2016 al Musée Du Quay Branly nella Ville Lumière ed è curata da un gruppo di antropologi che si sono posti alcune domande: “come ciò che […]
Un robot si aggira per le strade di Parigi, fa il critico d’arte e fa parte di una mostra. Si chiama Persona. Strangely Human, si tiene fino a novembre 2016 al Musée Du Quay Branly nella Ville Lumière ed è curata da un gruppo di antropologi che si sono posti alcune domande: “come ciò che è inanimato diventa animato? In che modo le persone stabiliscono una relazione inusuale o intima con gli oggetti?”. Tra questi ultimi hanno preso ad esempio le opere d’arte e, in un’iniziativa che sembra quasi ricordare gli esperimenti dei protagonisti della serie tv The Big Bang Theory hanno “invitato” a partecipare un Jerry Saltz robotico.
Si chiama Joe Berenson il critico d’arte a circuiti, ha quattro anni ed è una creatura di Denis Vidal e dell’ingegnere robotico Philippe Gaussier. Anche se Joe si fa influenzare facilmente poiché il suo obiettivo non è tanto quello di dire cosa pensa delle opere, ma di campionare e determinare attraverso l’algoritmo che lo governa il gusto delle persone che osservano le opere intorno a lui. Con il suo lavoro Joe è un ottimo strumento di mediazione con il pubblico e come osserva Rea McNamara sulle pagine di ArtFCity è un valido aiuto per realizzare delle survey che diano dei dati effettivi sulla composizione dei pubblici dei musei e delle gallerie d’arte.
GLI EFFETTI SUL SETTORE
Un settore che da sempre è ritenuto sfuggente, proprio per la sua natura qualitativa, alla quantificazione, ma che negli ultimi anni, attraverso studi, ricerche e rapporti che cercano di mettere in infografica l’andamento generale, con questo strumento potrebbe dare al pubblico e agli addetti ai lavori delle nuove chiavi di lettura. Il rischio, come sempre, è quello di creare delle tendenze e di costruire uno share, della serie – questo piace al pubblico, questo no – e sappiamo benissimo che non sempre nella ricerca artistica piacevolezza estetica e gusto dominante vanno di pari passo nella evoluzione delle arti. Ma con un utilizzo calcolato Joe Berenson e i suoi fratelli potrebbero essere un valido supporto nello sviluppo della museologia contemporanea, oltre che una simpatica curiosità.
– Santa Nastro
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