Il sassolino nella scarpa. Quale ruolo deve avere ICOM Italia nel dibattito sul futuro dei musei?
Entro il 2 novembre verrà ratificata l’elezione del nuovo direttivo della branca italiana dell’associazione internazionale dei musei. A prescindere dai nuovi volti resta una questione di fondo: quale deve essere il ruolo di ICOM?
Sono anni che ICOM Italia è oggetto di particolare attenzione da parte dei professionisti museali e altri operatori della cultura. Sono anni che si dibatte sulle opportunità che questa grande associazione, che fa capo al ben più ampio International Council of Museums, potrebbe cogliere o addirittura far emergere.
Sono anni che ICOM tuttavia persegue una duplice linea d’azione: se nelle moltitudini di convegni, tavole rotonde, cabine di regia, articoli e dichiarazioni pubbliche uno degli obiettivi chiave manifestati è quello di avviare una politica volta a creare un maggiore engagement con il territorio e soprattutto con una serie di interlocutori chiave che oggi rimangono fuori dall’associazione, dal punto di vista operativo, le attività portate avanti sembrano piuttosto rispondere ad una logica di aumento degli insider, vale a dire, degli iscritti.
Non che ci sia qualcosa di male, beninteso. ICOM Italia è un’associazione e il suo primo obiettivo, come quello di qualunque altra associazione, è aumentare il livello di iscrizioni.
Ma ICOM Italia potrebbe (dovrebbe?) essere il punto di riferimento, o meglio, il punto di contatto tra le realtà museali e il territorio, tra le richieste dei cittadini e i vincoli cui sono sottoposti gli operatori del settore, tra le esigenze finanziarie dei musei e le imprese che vorrebbero investire. Potrebbe ambire ad essere il contenitore attraverso il quale due mondi così distanti iniziano davvero a confrontarsi.
CON LE MANI LEGATE?
I vertici ICOM, questo, lo hanno capito da tempo. E probabilmente lo hanno capito anche tutti gli altri referenti tematici e territoriali (ICOM Italia ha una struttura piuttosto capillare). Il problema è che, probabilmente, non ci riescono.
E non ci riescono per una questione strutturale. Perché per essere davvero quel punto di raccordo che unisce i musei e il-mondo-che-esiste-fuori-dai-musei è necessario appartenere alle due categorie, è necessario conoscere entrambe le logiche ed essere padroni di entrambi i linguaggi. Un traduttore non può saper parlare una lingua sola.
E la lingua che parla ICOM Italia, probabilmente, appartiene al mondo dei musei. Ragioniamoci: se il medium è il messaggio, allora il messaggio di ICOM è il convegno. Ed è un linguaggio che non ha più aderenza con il territorio.
Il problema reale è che le persone ormai sono stanche di partecipare ad incontri in cui persino i relatori si annoiano. Ma al di là dei contenuti e della qualità degli incontri, è forse opportuno segnalare una cosa che chi appartiene al mondo della cultura in Italia non sempre ha ben chiara: il tempo è una risorsa scarsa.
I CONVEGNI: SOLO PERDITE DI TEMPO?
Prendiamo l’esempio delle imprese (ma la stessa cosa vale per chiunque): i dirigenti di impresa hanno un’agenda fittissima. E per quanto lo stereotipo non lo preveda, queste persone hanno tantissimo lavoro da svolgere, e non tutto può essere delegato o rimandato. Ciò significa che se decidono di partecipare ad un convegno, dovranno recuperare il tempo trascorso, sottraendolo alla propria vita personale (già molto ridotta) e familiare (che è sempre in pericolo a causa delle poche ore che rimangono). Ciò significa che per decidere di partecipare ad un convegno ci debbano essere delle ragioni importanti di gratificazione che giustifichino il tempo in meno che queste persone dovranno dedicare alle loro passioni o alle loro famiglie.
E diciamolo, i convegni, di queste gratificazioni, non ne offrono tante.
Questo è solo un esempio, una boutade, ma che nasconde al proprio interno il germe di una riflessione un po’ più seria e che vede ICOM Italia distante dalla posizione che invece dichiara di voler raggiungere. Quanto fatto sinora non ha portato a risultati evidenti. Quali prospettive potrebbe dunque seguire?
QUALI PROSPETTIVE DI SVILUPPO
Innanzitutto potrebbe avviare delle politiche interne che individuino i soggetti che meglio di altri possono avviare dei contatti con specifiche categorie di stakeholder, iniziare poi a creare delle modalità di dialogo differenziate per ciascuna di tali categorie. Avviare un ripensamento dell’organigramma e rendere davvero operative le varie sezioni regionali e comitati tematici, attribuendo per ogni carica una serie di mansioni operative, e nel caso fosse necessario, avviando un principio di maggiore delega. Solo una volta apportati questi cambiamenti, e solo nel caso in cui questi cambiamenti abbiano generato degli effetti reali, si potrà poi avviare il processo di comunicazione con l’esterno. A quel punto, ne sono sicuro, se tutti i passaggi precedenti hanno avviato dei processi concreti, le modalità di comunicazione non sarebbero più le stesse.
A prescindere dal risultato delle elezioni, dunque, è importante che il nuovo apparato dirigente dell’associazione avvii una riflessione seria sulle linee di sviluppo che ICOM Italia intende attuare. Per essere aperti al mondo-che-esiste-fuori-dai-musei non basta poterlo scrivere su un articolo. È necessario ripensare l’intera struttura, le funzioni e le azioni chiave da intraprendere sulla base di questo obiettivo.
Ciò non significa che ICOM debba cambiare quello che è o smettere di fare quello che fa. Significa, semplicemente, che debba iniziare a farlo meglio.
– Stefano Monti
C’è un unico candidato alla carica di presidente di ICOM Italia: si tratta di Tiziana Maffei, architetto, titolare della vicepresidenza della Scuola di Lettere e Beni culturali della sede di Ravenna dell’Università di Bologna, dove ha la cattedra di comunicazione e valorizzazione dei beni culturali. Dal 2010 è nel direttivo ICOM ed è coordinatrice della Commissione Sicurezza e Emergenza dell’associazione. La ratifica della sua elezione – e quella del consiglio direttivo che la accompagnerà nel prossimo triennio di lavori – avverrà il prossimo 2 novembre, una volta chiusi i seggi distaccati allestiti in queste settimane in più città italiane.
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