La geopolitica delle case d’asta
“Emer-gente” non può che trasferirsi in Asia. Perché se Nordamerica ed Europa tremano sotto gli scossoni della crisi economico-finanziaria, i colossi asiatici procedono speditissimi. E le case d’asta cinesi tentano di sbarcare a Londra e NYC.
Se nel resto del mondo i compratori si fanno sempre più cauti, impauriti dai risvolti negativi delle economie, il contagio non si estende certo al mercato artistico asiatico. Da Sotheby’s HK le vendite autunnali hanno totalizzato oltre 411 milioni di dollari, il secondo totale più alto mai raggiunto, con un primato assoluto per le porcellane Ming, per un diamante blu e uno arancione, fino al record per l’artista moderno Zao Wou-Ki (8,8 milioni di dollari per 10.1.68).
La crisi del 2008 – quando i prezzi dell’arte caddero del 15% e il tasso di invenduto era salito al 54%, crisi che colpì prima di ogni altra la piazza asiatica, interrompendone l’espansione – è oggi solo un ricordo. Sulle stesse piazze oggi si manifestano segnali di resistenza più che altrove. Hong Kong e Pechino sono in competizione con New York a suon di martelletto e fatturati stellari: una lotta fra arte esclusivamente asiatica e arte globale.
Anche se le due principali case d’asta cinesi, Poly e Guardian, stanno cercando casa a New York e Londra. Ciò non vuol dire che vogliano anche guardare verso l’arte occidentale. Al contrario, necessitano di un avamposto per riportare nel proprio Paese i tesori orientali oggi in possesso dei collezionisti occidentali. E poi rivenderli.
E i collezionisti cinesi? Iniziano a essere attratti dai capolavori occidentali, considerati ormai dei trofei. Veri e propri status symbol come le auto, gli orologi e i gioielli. L’obiettivo dei magnati locali è seguire le orme dei potenti Arnault o Pinault. Come ben sappiamo, Femme Lisant e Nude, Green Leaves and Bust, entrambi di Picasso, sono stati acquistati da compratori cinesi.
Ma, al di fuori delle aste, com’è la geografia asiatica dell’arte? A Hong Kong anche il gusto riflette il carattere internazionale della regione. È un ibrido di culture dove i collezionisti non disdegnano la nostra Pop Art. Gli artisti vivono a Pechino, la capitale culturale e il fulcro della scena galleristica sia locale (con le grandi Long March Space, Beijing Commune e Boers-Li), sia internazionale (con Continua, Urs Meile, Jens Faurschou e Pace Gallery). La maggior parte dei collezionisti proviene dalla megalopoli di Shanghai, il centro finanziario della Cina. Le regioni dei nuovi ricchi poi, sono Shanxi e Fujian, cresciute grazie al commercio: recentemente hanno sviluppato il proprio gusto artistico, restando però nella sfera del classico.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
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