Virtual Sex
Si giunge al quarto appuntamento con l’“Opera Sexy” di Ferruccio Giromini. Questa volta la destinazione è il Giappone. Ma per incontrare non un artista, bensì un personaggio virtuale. Ecco a voi Hatsune Miku.
In Europa si fa qualche fatica a memorizzare i nomi giapponesi, però qualcuno magari più legato a fenomeni di costume rimane impresso. È il caso di Hatsune Miku, nome che peraltro non pertiene a una persona fisica ma a una personalità virtuale. Un caso invero interessante, originato da Vocaloid, giocoso software di vocalizzazione sintetica su basi musicali; in altre parole, un sintetizzatore di canto organico, il cui nome si traduce letteralmente in ‘il primo suono del futuro’. Per lanciarlo sul mercato, la produzione Yamaha ne ha corredato la confezione con una figuretta femminile in tipico stile anime: corpicino adolescente slanciato, seni acerbi, occhioni enormi d’ordinanza, stivaloni di pelle nera a metà coscia, e infine caratterizzante chioma turchese divisa in due lunghissime code di cavallo laterali.
Il successo d’immagine della piccola showgirl è stato immediato. Il wwweb se ne è impadronito in un battibaleno e diverse categorie di creativi autoprodotti si sono tuffate a pesce per farne un unico ricettacolo no-copyright di musiche, disegni e video. Innumerevoli cantautori la rendono protagonista delle loro composizioni; parolieri le fanno reinterpretare standard musicali preesistenti; illustratori la raffigurano in svariate versioni visive; animatori 2D e 3D le regalano movimenti vieppiù elaborati: danzante con piglio sicuro, brandente microfoni fallici, sculettante in microgonne di delicata pacchianeria, schitarrante da provetta “guitar hero”; addirittura, come ormai usa, agli incontri di cosplaying procaci giovinette la impersonano nelle sue ridotte vesti e nei suoi tipici atteggiamenti.
Insomma, anzitutto un inedito caso di detonatore di creatività individuale, ma anche obtorta “opera d’arte” collettiva. Da character progettato, in origine, a soggetto virtuale di entertainment reale; da programma fattosi quasi carne ad avatar condiviso; da pura idea di marketing a scintillante ologramma lifesize che si permette affollati concerti dal vivo (in Giappone e Usa e presto pure in Europa); da creazione ludica a pulsante oggetto di desiderio.
Sì, la popstar lolita dai molti padri incestuosi (e le madri? Incestuose anch’esse?) rappresenta un fenomeno pure antropologico. Alimentando un immaginario tecno-psichedelico dolciastro, oscillante tra le carinerie stereotipate dell’adolescenza kawaii e le spudorate tentazioni dell’universo hentai (non senza qualche alter ego grottesco, versione immancabile nella tradizione nipponica), Hatsune Miku alimenta pure, e alla grande, la corrente smaterializzazione/de-umanizzazione dell’eros.
Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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