Minimalismo e quotidianità tra danza e cinema. Yvonne Rainer in mostra a Bologna
Alla coreografa e regista californiana è dedicata la retrospettiva al MAMbo che indaga la sua rivoluzione nel mondo della danza, contro la spettacolarizzazione e i virtuosismi, per aderire alla realtà del movimento
Coreografa, danzatrice, regista. Alla Sala delle Ciminiere del MAMbo la carriera di Yvonne Rainer (San Francisco, 1934) è protagonista della prima retrospettiva sull’artista californiana, che, partendo dal suo lavoro coreografico, cerca di ricostruire il passaggio dalla danza al cinema che si è concretizzato nel corso degli anni.
La mostra su Yvonne Rainer a Bologna
Il titolo della mostra, Yvonne Rainer, Words, Dances, Films, è emblematico del percorso proposto: le cinque sale, infatti, riportano sia i lavori che l’artista ha svolto come coreografa e danzatrice che come regista, ma anche la produzione teorica che ha alimentato la sua attività. La parte conclusiva del percorso raccoglie infatti, in alcune sale, materiali d’archivio che aiutano ad approfondire le riflessioni dell’artista: sono esposte fotografie, disegni, descrizioni curatoriali e testi.
No Manifesto è uno scritto del 1964 in cui la danzatrice elenca tutto ciò che non intende includere nei suoi spettacoli. Yvonne Rainer ha ideato coreografie trovando ispirazione nei gesti e nei movimenti quotidiani: in esse vi è il rifiuto della spettacolarità, per restituire una visione cinetica e reale del movimento. Il risultato di questo approccio è un tipo di coreografia minimalista – scrive lei: “No to style, No to spectacle, No to virtuosity”.
Trio A, ovvero la documentazione video che conferma l’assunto, è proiettata nella prima sala della mostra. Nella coreografia si può notare come Rainer abbia eliminato sia le componenti drammaturgiche che i virtuosismi: il danzatore diventa, quindi, una figura ordinaria capace di compiere movimenti reali.
Yvonne Rainer, dalla danza al cinema
Una sala è, invece, dedicata ai video sperimentali che Yvonne Rainer realizza negli Anni ’60, con attenzione particolare per i suoi film, a cui sono riservate due sale.
La produzione artistica dell’autrice, dagli Anni ’70 in poi, si sposterà pienamente verso il cinema: il suo primo film, Lives of Performers (1972), è proiettato in uno spazio dedicato, e porta alla luce le problematiche della vita delle donne nel sistema del patriarcato. Nella sala centrale si proiettano altri cinque film realizzati tra gli Anni ’70 e gli Anni ’90.
L’esposizione è curata da Caterina Molteni per il Museo d’Arte Moderna di Bologna.
Chiara Battaglino
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