Alchimia e magnetismo. Ecco com’è andata la Biennale Danza 2023 di Venezia
Ha premiato Simone Forti e Tao Dance Theater, e proposto un cartellone di spettacoli ideati per stimolare la percezione interiore. Il reportage dalla Biennale Danza a Venezia
“Alchimisti del movimento”, ossia capaci di modificare la “chimica interiore” degli spettatori: così il coreografo britannico Wayne McGregor, al suo terzo anno alla guida della Biennale Danza, definisce gli artisti invitati a comporre un cartellone che vuole assecondare il sovraccarico sensoriale ed emotivo che le performance suscitano sulla nostra interoception, ossia la nostra percezione interiore, fatta in primo luogo di oscure ma deflagranti reazioni chimiche.
Biennale Danza 2023. Il Leone d’Oro e il Leone d’Argento
Una concezione sicuramente condivisa da Simone Forti, coreografa e danzatrice ottantottenne – nata a Firenze nel 1935, abbandonò l’Italia con la famiglia già nel 1938 per fuggire dalle leggi razziali e visse in Svizzera e poi negli USA – cui è stato assegnato il Leone d’Oro per il suo ruolo di “innovatrice in molteplici mezzi espressivi” e per aver influenzato lo “sviluppo della danza postmoderna e aperto la strada al minimalismo”. Una carriera esemplare testimoniata nella mostra dedicata alla sua attività dagli Anni ’60 fino a oggi e arricchita dall’esecuzione dal vivo di alcune delle sue rivoluzionarie Dance Constructions, brevi performance che seppero ripensare il rapporto fra danza contemporanea e arte visiva.
Minimalismo, unito a rigore e formalismo, è, invece, la cifra stilistica di Tao Dance Theater, compagnia fondata a Pechino nel 2008 e guidata dal coreografo Tao Ye e dalla danzatrice e costumista Duan Ni, sua compagna anche nella vita. Abbiamo assistito al loro spettacolo 11 – i titoli scelti per i loro lavori sono sempre numeri a indicare la quantità dei danzatori ed evitare qualsivoglia tentazione narrativa e/o concettual-filosofica – paradigmatico di un linguaggio che, partendo dalla danza classica cinese e dalle varie danze etniche del paese e assumendo il “cerchio” quale figura-sintesi delle innumerevoli possibilità di movimento e di rapporto fra spazio e tempo, è stato battezzato Circular Movement System. Tuttavia un sistema tutt’altro che rigido, come evidente in 11: i danzatori si muovono sul palco formando perlopiù una fila in verticale; i movimenti della parte inferiore del corpo sono coreografati, quelli della parte superiore lasciati all’improvvisazione eppure il risultato è una performance formalmente ineccepibile, fondata su un inappuntabile equilibrio visivo e gestuale e nondimeno sensorialmente magnetica.
Lucy Guerin e Pontus Lidberg alla Biennale Danza di Venezia
Trentanove campane tibetane, dotate ciascuna di altoparlante, luce, sensore tattile e batacchio, occupano il palcoscenico nell’installazione-performance Pendulum, creata dalla coreografa Lucy Guerin e dal compositore Matthias Schack-Arnott, entrambi australiani. Sette danzatrici interagiscono variamente con le campane: ne accompagnano il movimento ovvero si abbassano a schivarle o le rilanciano, disegnando all’interno della rigida geometria dell’impianto scenico ulteriori traiettorie, complicandolo e raddensandolo. Fino a camminare velocemente fra le campane in movimento: non tanto una sfida ma l’indicazione di una possibilità di convivenza, generando e allo stesso tempo assecondando una musica fluida e ipnotica. Un lavoro immersivo e coeso, mentre meno stringente ci è parso il disegno drammaturgico alla base di On the Nature of Rabbits, coreografato e interpretato, insieme ai suoi danzatori-collaboratori, dallo svedese Pontus Lidberg. Ispirato alla vicenda di una coppia di uomini, uno della ex Germania Est, l’altro francese, che s’incontrano a Parigi negli anni dell’epidemia di AIDS e ricorrono a gesti ed espressioni per ovviare all’incomprensione linguistica; lo spettacolo accumula simboli e linguaggi – un coniglio di peluche, palloncini, acqua, una scala, musica classica e pop, incursioni in platea e proiezioni – senza tuttavia raggiungere una solida coerenza drammaturgica e dunque vanificando pure l’indubbia potente espressività dei danzatori.
Biennale College
Assai convincente, al contrario, il programma eseguito dai giovani sedici danzatori, provenienti da ogni parte del globo, selezionati per un’intensiva residenza di tre mesi nell’ambito di Biennale College. I danzatori non sono solo stati impegnati nella riproposta delle succitate Dance Constructions di Simone Forti, ma hanno lavorato a due performance: il riallestimento di Duo di William Forsythe realizzato da due dei principali intrepreti della sua compagnia, Brigel Gjoka e Riley Watts; e When I Am Facing U con la danzatrice e coreografa cinese Xie Xin. E se in Duo i giovani talenti, senza musica ma accompagnati soltanto dal proprio respiro, sperimentano la concentrata attenzione sui propri gesti, scientificamente frammentati e posti in contrappuntistica relazione con quelli degli altri, nella coreografia disegnata dall’acclamata artista cinese creano una performance fluida e suggestiva, incentrata sul rapporto con il proprio corpo e sulla sua relazione con quello degli altri e arricchita dalle musiche originali di Sylvian Wang e dai costumi disegnati da Matthieu Blazy per Bottega Veneta.
Laura Bevione
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