Abbiamo visitato OCA, il nuovo parco per le arti contemporanee sull’Appennino Pistoiese
Nel cuore di un’oasi del WWF, a 1.200 metri di altitudine, apre al pubblico l’Oasy Contemporary Art, raggiungibile solo a piedi, camminando tra i boschi. L’abbiamo visitata con i curatori e gli artisti coinvolti
“È necessario cambiare paradigma”, dichiara Emanuele Montibeller, a cui spetterà per il prossimo futuro la direzione artistica di OCA, Oasy Contemporary Art, ultima iniziativa ideata dalla famiglia Manes che, all’interno dell’Oasi Dynamo affiliata al WWF, da molto tempo porta avanti il virtuoso progetto sociale Dynamo Camp, oltre a organizzare attività sportive e didattiche e di recente aver aperto uno splendido resort – il primo all’interno di un’oasi WWF – composto da lodge lussuosi immersi tra le ginestre a 1.200 metri di altitudine.
OCA, oltre la Land Art sull’Appennino Pistoiese
Ora, chi si avventura tra i rilievi dell’Appennino Pistoiese può visitare anche quello che potremmo definire un “embrione” di parco dedicato alle arti contemporanee, che in questa prima fase comprende una mostra di fotografie di Massimo Vitali (Como, 1944) e un’installazione ambientale di David Svensson (Skillingaryd, 1973). Non è quindi un caso che la direzione del progetto sia stata affidata al fondatore del celebre Arte Sella. Montagne diverse, stesso punto di partenza, ma con alcune precisazioni, visto che i tempi sono radicalmente cambiati dall’epoca in cui si cominciarono a progettare i percorsi in Valsugana: “Ormai non ha più senso parlare di Land Art” commenta Montibeller “e oggi vanno ricercate altre forme capaci di unire uomo, arte e natura. Quali? Dobbiamo formulare qualcosa di nuovo, e bisogna partire da alcune domande: come abiteremo il mondo? Come affronteremo il futuro in questo cambiamento ecologico, ambientale e climatico? Quale sarà il ruolo dell’arte e della creatività nel contesto che ci aspetta?”.
Non solo: bisogna essere coerenti quando si parla di tutela dell’ambiente, e quindi OCA è raggiungibile solo a piedi, mediante una lunga passeggiata nel bosco. Il direttore dichiara di voler creare un luogo di confronto, dove il pensiero porti allo sviluppo di strumenti culturali per affrontare il futuro. Gli artisti visivi non saranno quindi gli unici protagonisti di OCA: verranno coinvolti poeti, filosofi, architetti, scienziati che esprimeranno il loro punto di vista sulla questione sociale e ambientale, senza mai perdere di vista il rapporto con il territorio. Uno dei progetti futuri sarà firmato da Michele De Lucchi e Mariangela Gualtieri: a una poesia scritta per il luogo sarà associata a un’architettura, che prima o poi scomparirà come tutti i manufatti umani, mentre rimarrà il racconto poetico e il pensiero.
La mostra di Massimo Vitali da OCA
“Abbiamo fatto il sopralluogo solo pochi mesi fa. Nella stalla le mucche mi guardavano con espressione contrariata all’idea di dover traslocare”: Massimo Vitali scherza un po’ per introdurre la sua nuova mostra allestita in un locale che in brevissimo tempo, dopo aver trasferito i mansueti bovini in altra location, è diventato un luogo espositivo al centro di un prato dell’Oasi Dynamo. Nel vasto edificio sono esposte due serie di opere: il nucleo inedito è rappresentato da grandi stampe su supporto flessibile, frutto di una ricerca sulla montagna pistoiese e su chi la abita. “Inoltre volevo mettere al centro gli alberi”, precisa Vitali. A queste fotografie inedite si affiancano alcuni scatti già esposti in altre mostre e musei, tra i più rappresentativi del comasco. “Ho scelto Massimo Vitali per inaugurare il progetto OCA” commenta la curatrice dei progetti fotografici Giovanna Calvenzi “perché ero certa che, grazie alla qualità dal suo lavoro, avrebbe saputo raccontare molto bene il territorio. Inoltre volevamo inaugurare con il fotografo più noto in Italia. Il risultato dell’esposizione è un elegante dialogo tra opere del passato, esposte tradizionalmente a parete, e quelle di oggi, appese come stendardi”. Delizioso il cataloghino in formato leporello.
La visita a OCA prosegue all’esterno, dove svettano le variopinte bandiere di David Svensson, che scompone i colori e i simboli nazionali di tutto il mondo e li ricompone in nuove, inventate bandiere non più riconducibili a un’identità e che così parlano di aperture dei confini. “L’installazione sta sulla staccionata, proprio su un confine che è anche un luogo in cui ci si incontra. L’effetto dipende dal vento, quindi è un’opera che dialoga con le condizioni climatiche. Inoltre le bandiere sono più basse degli alberi, perché noi umani dipendiamo dal mondo vegetale”, conclude Montibeller.
Marta Santacatterina
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