Intervista a Soheila Sokhanvari: l’arte può essere voce delle donne iraniane
Pratica il genere del ritratto come strumento politico di propaganda e identità ed evoca la creatività imbrigliata delle artiste iraniane, che sono state frontiera della liberazione sessuale in Iran. La storia di un’artista in esilio
In esilio a Londra dal 1978, dopo una lunga carriera come ricercatrice biochimica, Soheila Sokhanvari (Shiraz, 1964) ha dato una svolta alla sua vita scegliendo la strada dell’arte, lungo la quale non ha mai smesso di battersi per il riconoscimento dei diritti delle donne iraniane. In questa intervista ci racconta la sua storia.
Intervista a Soheila Sokhanvari
Perché hai deciso di diventare un’artista?
Sono stata influenzata nella scelta da mio padre che in Iran era modello, stilista, e artista dilettante. Mi ha insegnato a disegnare, a dipingere con la tempera all’uovo e a realizzare miniature persiane. Ma poi mia madre mi ha proibito di studiare arte e mi ha invece incoraggiata a studiare le scienze: voleva che avessi indipendenza finanziaria e aveva paura dell’insicurezza dell’industria creativa. Così, nel 1986, mi sono laureata in biochimica, ma dopo 18 anni come ricercatrice ho deciso di seguire il mio sogno di diventare artista. Oggi lavoro come artista multimediale, ho esposto a livello nazionale e internazionale e le mie opere sono in collezioni private e pubbliche qui e all’estero.
Cosa vorresti comunicare attraverso la tua arte?
Parlo di traumi collettivi e successiva rimozione, concentrandomi sull’Iran pre-rivoluzionario, in particolare sull’era Pahlavi dal 1925 al 1979. Ho vissuto in Iran fino al 1978, quando sono partita per l’Inghilterra, un anno prima della Rivoluzione, e quindi sto cercando di dare un senso a cosa è successo e perché. Mi concentro sull’immagine delle donne perché sono state le martiri della rivoluzione, perdendo tutti i loro diritti legali e l’autonomia del corpo. L’Iran è stato ritratto nei media e nell’arte contemporanea come un Paese pieno di estremisti che gridano morte all’America e donne che indossano l’hijab nero, stereotipi che io non riconosco come il mio Iran. Quindi, nella mia arte racconto la storia delle persone, in particolare delle donne che erano creative, liberali, sfacciate e potenti.
Le donne dell’arte in Iran
Dunque le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nell’arte iraniana?
Le performer donne iraniane erano la frontiera della liberazione sessuale in Iran e dopo 44 anni di silenzio per molte di loro ho voluto riportarle sul palco per presentarle a un pubblico completamente nuovo e non lasciare che venissero dimenticate e ignorate. Usando la ritrattistica e parlando nel linguaggio del Realismo magico, del Simbolismo e della metafora, parlo di cose non dette o verità impossibili da rappresentare. Molto deriva dal legame con la mia infanzia e volevo immortalare questi artisti come li ricordavo. La ritrattistica è politica e ha connotazioni di propaganda e identità, quindi si adatta bene al mio desiderio di narrazione.
Mentre crei un’opera d’arte, ti senti solo un’artista, o un’artista donna? Il genere è importante nel tuo lavoro?
Sono una donna, una femminista, un’artista, e ne sono molto orgogliosa. Affronto questioni femminili e sostengo i diritti umani e l’uguaglianza di tutti i sessi e di tutti gli orientamenti, quindi naturalmente la mia arte parla di tutto ciò. Le donne in Iran, dopo la rivoluzione, hanno perso i loro diritti, e parlandone voglio riportare questo problema all’attenzione del mondo.
La mia famiglia, in Iran, è sempre stata matriarcale; mia madre aveva spesso l’ultima parola in casa, e l’aiutava il fatto che mio padre fosse liberale, perché diceva che la regina Farah Diba avrebbe dovuto essere la leader del Paese e credeva che se l’Iran avesse avuto più donne nelle posizioni decisionali sarebbe progredito più velocemente. Questo ha modellato la mia visione del mondo in molti modi, ricordo molte donne forti e potenti nella mia vita, e in particolare quando subito dopo il mio arrivo in Inghilterra, la Thatcher è diventata Primo Ministro (anche se non ero d’accordo con la sua politica) è stato un messaggio importante che mi ha aperto gli occhi sulle possibilità. Mio padre era femminista e lungimirante, mi mandò da sola in Inghilterra all’età di 14 anni in modo che potessi ottenere un’istruzione occidentale ed essere indipendente. Mi piace pensare che, indipendentemente dal mio genere, erediterò gli stessi valori di mio padre.
Eri solo un’adolescente quando hai lasciato il tuo paese. Com’è l’Iran dei tuoi ricordi?
L’Iran era molto simile alla Turchia di oggi. Le donne avevano accesso all’università, al lavoro e alla politica. Quando ho lasciato l’Iran nel 1978, ho sentito che stava cambiando, mi ha alienata dalla mia gente e dalla mia società. Lasci la tua casa per un luogo nuovo, e quando ti volti non riconosci da dove sei venuto: come molti altri che non possono tornare a casa, sono esule, e ricordiamo l’Iran come la terra di Xanadu, una Città di Smeraldo che deve essere vista attraverso lenti colorate. Ma l’artista in esilio ha un punto di vista straordinario, ti fornisce un occhio critico per guardare alla tua cultura.
La situazione delle donne in Iran
Cosa pensi della situazione attuale in Iran, della lotta delle donne per i loro diritti?
Le donne che ho dipinto per la mia mostra londinese Rebel Rebel sono le madri e le nonne delle donne che stanno protestando oggi, e hanno la stessa natura ribelle, tenacia e coraggio. Sono personalmente orgogliosa di queste donne per aver resistito all’oppressione anche di fronte a una violenza incredibile, affrontando proiettili veri in risposta alla loro protesta pacifica, colpendo l’aria con i pugni.
Penso che il regime sia composto da lobby di vecchi che gestiscono un Paese con un’alta percentuale di giovani (oltre il 60% della popolazione ha meno di 30 anni): leggi e regolamenti sono determinati da questi vecchi conservatori. Tanto più che i figli dei leader politici iraniani vivono nel lusso assoluto nei Paesi occidentali senza hijab e tuttavia loro torturano, stuprano e uccidono le donne in Iran se mostrano troppi i capelli. Le proteste non riguardano solo l’hijab, riguardano i diritti legali delle donne, il controllo sui loro corpi, le opportunità di lavoro e il potere economico: il 65% dei laureati sono donne ma costituiscono solo il 14% della partecipazione alla forza lavoro, di conseguenza molte donne istruite sono profondamente frustrate.
Pensi che la maggior parte degli uomini in Iran sostenga davvero il regime islamico? O capiscono invece l’importanza di riconoscere finalmente i diritti delle donne?
Questa non è una guerra fra generi, perché ci sono anche donne che opprimono le donne. C’è un intero comparto della polizia morale femminile, sono state loro ad arrestare Jina Mahsa Amini. Il governo opera come una mafia che meccanizza o strumentalizza idee distorte di moralità religiosa per mantenere il potere, e i corpi delle donne sono solo un’espressione del loro controllo sulla popolazione. L’hijab è come il muro di Berlino per questo regime, ma è anche il suo tallone d’Achille; ecco perché ha tanto bisogno di mantenerlo a tutti i costi.
Tuttavia, per la prima volta nella storia dell’Iran, gli uomini si sono schierati fianco a fianco con le donne lottando per i loro diritti e rispettandoli, perché la generazione Z è più consapevole dal punto di vista sociale e ambientale. Recenti sondaggi mostrano che l’82% degli iraniani sostiene un governo laico e la generazione Z non ha alcuna affiliazione alle ideologie religiose. Mi crederesti se dicessi che i giovani iraniani sono molto meno religiosi dei giovani americani? È un dato di fatto che sotto pressione i giovani si ribelleranno naturalmente ai loro oppressori.
Niccolò Lucarelli
https://www.soheila-sokhanvari.com/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati