Le tre grandi mostre dell’estate al museo Mart di Rovereto
Leonor Fini e Fabrizio Clerici riuniti in una mostra-kolossal sull’immaginario visionario e “fantastico”, mentre Stefano Di Stasio e Aurelio Bulzatti forniscono due versioni diverse dell’Anacronismo e del ritorno alla figurazione di inizio Anni Ottanta
Ci si potrebbe aspettare una dissertazione sul Surrealismo in Italia, entrando nella mostra, a cura di Denis Isaia e Giulia Tulino, che il Mart dedica a Leonor Fini (Buenos Aires, 1907 – Parigi, 1996) e Fabrizio Clerici (Milano, 1913 – Roma, 1993). Visitandola, ci si accorge di come invece il punto sia un altro: la presenza sotterranea nella nostra arte novecentesca di un immaginario “fantastico”, visionario e metafisico (termine, quest’ultimo, che va qui inteso in senso alternativo alla poetica che normalmente vi si associa).
Con motivazioni ed esiti non coincidenti ma coerenti, alimentate reciprocamente anche dal sodalizio personale documentato in mostra, le poetiche dei due artisti mantengono sempre un’eccentricità assoluta. Se nei primi decenni della sua carriera la pittrice argentina di nascita ma cresciuta a Trieste “si cerca”, preparando man mano lo stile personale che verrà, Clerici inizia con piglio da illustratore per poi concedersi solo nei decenni successivi un linguaggio pienamente pittorico (che rimane ibrido e trae giovamento dalle esperienze precedenti).
Il serrato botta e risposta tra Fini e Clerici al Mart
Dopo le sezioni introduttive, dunque, a partire dagli Anni Trenta/Quaranta in poi, la mostra (enciclopedica e monumentale, che sfida le capacità di concentrazione dello spettatore ma lo documenta in maniera completa sull’argomento) inizia il suo serratissimo botta e risposta tra i due artisti, che termina in tempi relativamente recenti attraversando quasi tutto il secolo. Opulenta, lussuriosa e mortifera la pittura di Leonor Fini, sommessamente monumentale, architettonica e in ultimo “aliena/fantascientifica” quella di Fabrizio Clerici, i due corpus scorrono paralleli lungo le sale espositive.
Molte le digressioni, come la sezione dedicata a Stanislao Lepri (la sua bella mostra milanese recente da Tommaso Calabro viene in gran parte qui trasposta), ad artisti affini ai due protagonisti come i pochissimo visti Neoromantici, agli eventi artistico/mondani che videro protagonisti i due, alle loro produzioni per la moda e per il teatro.
Anacronismo e onirismo nelle mostre di Bulzatti e Di Stasio
Pur di segno diverso, anche le altre mostre estive del Mart perseguono atmosfere di sospensione metafisica, di straniamento e di “automatismi” della visione. Quelle di Stefano Di Stasio (Napoli, 1948) e Aurelio Bulzatti (Argenta, 1954), curate da Gabriele Lorenzoni, sono due mostre personali autonome, che però si compenetrano grazie al prologo dedicato alla Tartaruga nella sua stagione di inizio Anni Ottanta, quando la storica galleria si dedicò al ritorno alla figurazione.
Siamo nel campo dell’Anacronismo con Di Stasio, doppiamente affascinante visto col senno di poi (si viene a creare una sorta di “anacronismo al quadrato”), con una pittura inizialmente ruvida che diventa nitida negli anni e ripartisce la tela in porzioni che si intersecano in maniera irreale, come nei sogni o negli incubi (e nella concretezza dell’esperienza umana). Una qualità pittorica più “artigianale” rispetto a Di Stasio caratterizza Bulzatti, che però suggestiona e stranisce per le atmosfere velate, oniriche e paradossalmente lisergiche dei suoi scenari: l’inconscio sembra incastonarsi nella realtà e prenderne possesso.
Stefano Castelli
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