Architetture da riscoprire: il convitto di Studio Passarelli a Roma
Agli inizi degli Anni ‘60 i Padri Domenicani dell’Angelicum acquistarono a Roma un palazzetto cinquecentesco adiacente all’istituto per trasformarlo in convitto. Qui la storia di un grande progetto architettonico nel Rione Monti
Incastonato silenziosamente nel cuore del centro storico capitolino, nel Rione Monti si trova il Convitto Internazionale San Tommaso D’Aquino: opera dello Studio Passarelli, è stato aperto al pubblico nel corso dell’ultima edizione della manifestazione Open House Roma.
Un’occasione per conoscere da vicino un edificio che rappresenta una memoria del linguaggio moderno italiano e, nello stesso tempo, conversa magistralmente con la preesistenza storica, garantendone un valore aggiunto.
La storia del Convitto Internazionale San Tommaso D’Aquino a Roma
Agli inizi degli Anni Sessanta dello scorso secolo i Padri Domenicani dell’Angelicum, storico istituto romano destinato alla formazione dei giovani seminaristi situato al civico 1 di Largo Angelicum, in Monti, acquistarono un palazzetto cinquecentesco adiacente all’istituto, con lo scopo di renderlo un convitto internazionale per i seminaristi. L’immobile, che affacciava su via degli Ibernesi, ospitava un convento di suore di clausura. I padri erano intenzionati a dare un nuovo carattere agli edifici preesistenti e a consentire allo studio incaricato la massima espressività personale e l’utilizzo di linguaggi contemporanei. Il progetto venne quindi commissionato allo Studio Passarelli che, come scrisse Paolo Portoghesi nel numero 7 del dicembre 1969 della rivista Controspazio, lavorava con committenze di tipo ecclesiastico già dalla prima generazione. Lo Studio Passarelli, storico studio capitolino, venne fondato alla fine del XIX secolo dall’Ing. Arch. Tullio Passarelli, per poi passare in mano ai figli, ai quali venne commissionata l’opera della quale stiamo parlando. Noto specialmente per la Palazzina Polifunzionale in via Campania a Roma, nell’arco della sua prolifica attività, lo studio ha realizzato numerosi interventi degni di nota; fra questi, il Collegio Marymount sulla via Cassia.
Il progetto architettonico dello Studio Passarelli
La realizzazione dell’intervento fu notevolmente veloce: un solo anno, dal 1963 al 1964.
Venne, in primo luogo, restaurato il palazzetto cinquecentesco seguendo le scelte tipiche del restauro scientifico – ossia venne mantenuto esternamente l’aspetto architettonico e il colore originale – per poi intervenire internamente: nell’ex convento, in un volume cubico situato al piano terreno, si scelse di inserire una cappella destinata ai seminaristi, caratterizzata da un’affascinate tribuna a fungo in calcestruzzo armato. La sobrietà dei materiali, il radicalismo del linguaggio architettonico, la cura nella progettazione luminosa e il dialogo tra il tessuto contemporaneo e storico, sono i quattro punti cardine che identificano il progetto. Le scelte citate, tanto estetiche quanto materiche che architettoniche, sono tipiche delle opere secondo novecentesche di committenza cattolico/ecclesiastica: se osserviamo la scenografia del film del 1976 Todo Modo, diretto da Elio Petri, possiamo notare come la finzione cinematografica – che raffigura una sede della Democrazia Cristiana – e la realtà architettonica si somiglino.
Citazioni lecorbusiane e scelte contemporanee
Tornando alla cappella, anche la progettazione dei flussi luminosi è degna di attenzione: dalle chiare citazioni lecorbusiane a Rochamp, la luce naturale viene schermata con imbotti asimmetrici e protuberanze in malta che garantiscono una luce misterica, consona a un ambiente religioso. Ma il fulcro delle capacità progettuali si può osservare nel corpo scala in calcestruzzo e vetro, con un vano ascensore cilindrico decisamente radicale. È proprio in questo piccolo atrio, quasi di disimpegno, che si giunge all’obiettivo di tutta la pratica: con un linguaggio contemporaneo e “incoerente” (in questo caso il termine è privo di accezioni negative) con il contesto, viene garantita dignità a uno spazio di passaggio che avrebbe mancato di carattere. Il riuscito rapporto tra contrasti consente anche a uno spazio privo di identità di acquisire una propria iconicità. Percorrendo il vano scala si giunge al giardino pensile inscritto in un volume a C che ospita le nuove camere dei seminaristi.
Convitto passarelliano: un dialogo tra storico e contemporaneo
Il convitto passarelliano può essere considerato un esempio di come una corretta progettazione, anche dai caratteri decisamente dissonanti con il contesto, non limita la fruizione e la trasmissione della verità storica propria della preesistenza, ma anzi garantisce un valore aggiunto, consentendo all’opera di diventare unico “monumento” di più esperienze architettoniche. È indubbio che ciò richieda un notevole impegno e conoscenza, tanto della storia quanto della progettazione, da entrambe le parti della pratica architettonica: committenza e progettista. Tuttavia, con le dovute differenziazioni tra siti d’intervento (sancite ad esempio dal “grado” di storicizzazione del bene) è possibile ottenere un dialogo tra storico e contemporaneo che, per loro natura, si compongono di linguaggi diversi e, a volte, dissonanti.
Valorizzazione del patrimonio architettonico del Novecento
Un’altra riflessione che può suggerire il progetto del Convitto Internazionale è quella sulla valorizzazione del patrimonio architettonico italiano novecentesco: cronologicamente, esso è ormai memoria di un’espressione moderna già superata, lontana progettualmente e intellettualmente dalla nostra quotidianità. La difficoltà nella valorizzazione è sicuramente dettata anche dal fatto che le architetture in questione portano la firma di maestri di generazioni troppo vicine a quella odierna, difficilmente analizzabili in termini scientifici senza i soggettivismi e “sentimentalismi” allontanati anche dal “fattore tempo”. Ipotizzati i possibili motivi che rendono difficile una lettura scevra da opinioni personali, il patrimonio novecentesco rimane oggi ricordo di una società italiana passata dalla quale le nuove generazioni derivano in maniera diretta. Uno studio e un recupero di quei dettami garantirebbe sia una trasmissione corretta della poetica passata, ma anche degli spunti di riflessione sullo scenario architettonico italiano contemporaneo.
Giovanni Manfolini
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Bibliografia
In: Controspazio, n. 7, dicembre 1969;
In: Fede e Arte, n.1, 1965;
In: Piero Ostilio Rossi, Roma, Guida all’architettura moderna 1909-2000, Dedalo, Bari, 1993, p.29;
In: L’architettura cronache e storia, n. 139, maggio 1967.
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