Su Artribune Podcast il monologo al telefono di Francesco Vezzoli
“L’artista crede di essere influente ma non lo è per niente”. L'artista di fama internazionale conosce molto bene lo star system e anche l’art world. In questo monologo delinea un’ampia panoramica sul suo lavoro, sul sistema dell’arte e sugli strumenti di comunicazione di massa
Che cos’è l’ironia per Francesco Vezzoli? Dopo una breve introduzione sulle sue recenti mostre al Palazzo delle Esposizioni di Roma e presso lo Studio Trisorio di Capri, l’astista bresciano, classe 1971, risponde alla domanda chiarendo un gesto talvolta frainteso. Il suo lavoro affronta temi complessi attuando slittamenti di senso misurati ad hoc e se piangere o ridere sono emozioni come altre, l’opera d’arte, antica o contemporanea, è in grado di smuoverle.
Un linguaggio comprensibile? Diremmo accessibile. Ad ogni modo le mostre di Vezzoli sono frequentatissime e l’interpretazione, come dice lui stesso, è sempre soggettiva: c’è chi si fa i selfie, chi esprime congetture e chi ipotizza valutazioni. L’artista si muove tra il video e la statuaria, sperimentando innesti tra cinema, produzioni televisive, argomenti di attualità e antichità classica e indagando i meccanismi di comunicazione, i luoghi e gli strumenti del potere.
L’intervista a Francesco Vezzoli: pop o popolare?
Il lavoro di Francesco Vezzoli si muove da sempre tra cultura classica e cultura pop ma ragionando sulle classificazioni dell’arte contemporanea l’artista riflette sul significato della parola anche pensando allo stile di vita degli artisti della Pop Art, non sempre leggero e frizzante.
E il rapporto con lo star system? É stata una parentesi “salutare”, a suo dire, che per certi versi cozza con il fenomeno di nicchia dell’arte contemporanea. Gli ambiziosi progetti – tra i primi il video Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, presentato alla Biennale di Venezia nel 2005 – erano utili anche per ridimensionare la mitomania dilagante all’interno del sistema dell’arte, sempre più ampio e ricco. Si sa che il sistema dell’arte ha centuplicato negli anni le proprie dimensioni in fatto di fiere e gallerie. Ma com’è cambiato il ruolo dell’artista? Insinuandosi all’interno del problema, Vezzoli riconosce la moltitudine di linguaggi nati negli anni e ricorda anche il suo percorso personale, iniziato con Anthony d’Offay, poi con Gagosian e attualmente con Almine Rech.
Francesco Vezzoli per Artribune podcast: idoli, chatbot e supermodel
E se l’arte si sposta verso una dinamica commerciale bisogna scegliere da quale parte stare. Arte privata o arte pubblica? Cercare una dimensione pubblica sembra sia la sua direzione. La vera novità sarà trovare la sua Pietà tra le opere permanenti all’interno di Palazzo della Signoria a Firenze. L’artista ne parla mostrandosi onorato e felice, ricordando Veruschka alla sua prima Biennale di Venezia per ribadire il suo interesse verso questo orientamento.
Trovandoci nel bel mezzo di un forsennato consumo passivo di contenuti digitali sui social network, una domanda versa sui meccanismi della comunicazione. L’artista analizza così lo sviluppo di dinamiche che una volta sarebbero state classificate tabù o inaccettabili.
E l’intelligenza artificiale? Come può l’arte sfruttarne le potenzialità a suo favore? Con un’ampia riflessione che ne valuta anche i rischi, l’artista immagina una contesto in cui artisti e museo riescano a sviluppare un interessante antidoto dialettico. Con l’ultima domanda Vezzoli rivela il suo “idolo massimo”. Lui che di icone pop, supermodel e icone intellettuali ne ha conosciute tante, ossessionato com’è per la notorietà, ma si tratta di una confessione facilmente intuibile.
Donatella Giordano
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