Barbie, la favola femminista al cinema che ridefinisce il pop contemporaneo
I suoi punti di riferimento sono The Truman Show e Matrix. Barbieland è infatti un luogo utopico-distopico dove tutto è perfetto e impermeabile al mutamento. Ma l’attitudine indie di Greta Gerwig e Noah Baumbach cambia tutte le regole del gioco
Barbie è certamente il film dell’anno. Non solo per il sorprendente successo al botteghino (dopo meno di un mese di programmazione ha ampiamente superato il miliardo di dollari, e si prepara a macinare altri record), ma anche per la capacità di fondere mainstream e creatività sofisticata.
Questa intelligenza è merito della coppia di autori che ha scritto il film, Greta Gerwig e Noah Baumbach, con trascorsi importanti nel cinema indipendente. È impossibile, infatti, comprendere la riuscita della ricetta di Barbie senza tenere presente che la Gerwig ha recitato tra gli altri anche nei film del compagno Lo stravagante mondo di Greenberg (2010), Frances Ha (2012) e Mistress America (2015), e ha poi diretto Lady Bird (2017) e Piccole donne (2019), e che Baumbach ha anche diretto film come Scalciando e strillando (1995), Il calamaro e la balena (2005), Storia di un matrimonio (2019) e Rumore bianco (2022).
Barbie, la favola femminista
La forza di questa bella favola femminista risiede, oltre che nelle interpretazioni dei protagonisti Margot Robbie e di Ryan Gosling, anche per esempio nell’abilità di richiamare modelli cinematografici del passato recente come Matrix(Andy e Larry Wachowski 1999), Toy Story (John Lasseter 1995), Ritorno al futuro (Robert Zemeckis 1985) e soprattutto The Truman Show (Peter Weir 1998) – usati non come semplici e superficiali citazioni, ma impiegati sapientemente come veri e propri riferimenti.
L’idea centrale del film (concepito nel bel mezzo del lockdown del 2020) è la relazione tra i due mondi, Barbieland e quello reale, il nostro. Barbieland è una realtà che, nella sua perfezione utopica-distopica, ha eliminato ogni imperfezione: che significa ogni imprevisto, ogni dubbio, ogni cambiamento (in questo, si rivela molto simile di fatto al modello del Resort che abbiamo cominciato a descrivere la scorsa settimana). Ogni giorno, quindi, scorre uguale a se stesso, senza sbavature, dall’inizio (il risveglio, la colazione, ecc.) alla fine (la “serata tra donne”).
Quando la “Barbie Stereotipo” inizia a notare e a decifrare i “pensieri di morte”, i segni di ansia e di disagio, essi vengono subito interpretati dalla sua comunità come difetti, elementi e fattori da isolare ed espellere immediatamente. E in questo senso, i ‘piedi piatti’ della bambola sono – come li ha definiti la stessa regista – una sorta di Bat-segnale che qualcosa non va. Sono gli stessi elementi che attivano l’intera vicenda, spingendo una riluttante Barbie ad esplorare il mondo reale in cerca della soluzione al suo problema esistenziale: in cerca della verità.
Barbie come Truman Show
Allora, se proviamo ad approfondire il confronto tra questo film e i suoi due modelli principali (The Truman Show e Matrix), ci accorgiamo che le differenze più importanti risiedono proprio nel tipo di relazione che corre tra i due mondi. Un quarto di secolo fa, il rapporto era possiamo dire di tipo parassitario: il mondo in cui Truman conduceva la sua esistenza era il set di uno spettacolo televisivo, la scena di una rappresentazione, ad uso e consumo di un pubblico globale di spettatori; il mondo creato da Matrix era altrettanto finzionale, e serviva a tenere gli esseri umani in salamoia sfruttandoli come fonte di energia per le macchine nella realtà/realtà.
Tra Barbie e Back to the future
Che cosa succede invece in Barbie? I due mondi sono perfettamente equivalenti. I confini si rivelano anzi estremamente porosi, percorribili in un senso e nell’altro, così come le due realtà possono influenzarsi a vicenda. Lo schema disegnato in proposito dalla “Barbie stramba” assomiglia da vicino a quello usato da Doc per spiegare a Marty (in Ritorno al futuro, ndr) il rischio di alterare il continuum spazio-temporale, un termine che si affaccia non casualmente anche qui.
In questo risiede la dimensione assolutamente contemporanea del film, e la sua capacità di ridefinire il pop odierno, a dispetto delle immancabili critiche (come se poi un film commerciale per grandi e piccini potesse e dovesse davvero essere un trattato impeccabile su femminismo e patriarcato): nell’aver agganciato e descritto questa nozione di permeabilità, cioè l’idea che l’immaginazione, l’immaginario, la finzionalità non siano in funzione di, ma che esistano in maniera del tutto autonoma.
In questo senso, le scene volutamente rétro del “viaggio” da un mondo all’altro e ritorno appaiono non più così giocose, né decorative, e diventano ancora più interessanti. A tratti anche inquietanti.
Il film è inserito nel palinsesto della terza edizione di Cinema in Festa, progetto promosso dal MIC con la collaborazione del David di Donatello – Accademia del Cinema Italiano. Per 5 giorni, da domenica 17 a giovedì 21 settembre, nei cinema Biglietto Speciale a € 3.50. https://www.cinemainfesta.it/
Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati