A Palermo arriva un’installazione sonora e una proiezione del grande William Kentridge
A fianco dell'opera, pensata appositamente per il capoluogo siciliano, vi saranno anche arazzi, sculture e 16 disegni inediti realizzati su un libro contabile dell’Ottocento
È con un progetto pensato appositamente per la città di Palermo che il grande artista sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) torna in Italia, a sette anni dal celebre murale lungo le banchine del Tevere a Roma. È Palazzo Branciforte, tornato a splendere una decina d’anni fa nel cuore della città, a ospitare la sua nuova installazione sonora con proiezione You Whom I Could Not Save (Tu che io non ho potuto salvare), opera che dà il titolo a tutta la mostra visibile dal 8 ottobre 2023 al 12 gennaio 2024. Accanto alla nuova creazione, o meglio intorno, vi saranno anche arazzi, sculture in bronzo e bronzo dipinto, il celebre video Sibyl del 2020 e soprattutto 16 disegni inediti realizzati su un libro contabile siciliano dell’Ottocento, in stretta connessione con lo spazio espositivo.
William Kentridge in Sicilia a Palazzo Branciforte
Il progetto – curato dalle storiche dell’arte Giulia Ingarao e Alessandra Buccheri, ideato dal direttore artistico di ruber.contemporanea Antonio Leone e sostenuto da Fondazione Sicilia con il coordinamento di Sicily Art and Culture – sarà inaugurato in occasione della Giornata del Contemporaneo nelle architetture labirintiche del Monte dei Pegni di Santa Rosalia di Palazzo Branciforte. Il percorso sarà punteggiato da otto grandi megafoni che diffonderanno le musiche composte da Nhlanhla Mahlangu e dirette da Tlale Makhene con testi nelle lingue Nguni (IsiZulu, IsiSwati, IsiXhosa e XiTsonga), mentre tra le scaffalature lignee saranno esposte le sculture e una sequenza di arazzi.
I disegni inediti del libro contabile nella personale di Kentrige a Palermo
La personale proporrà inoltre 16 disegni inediti che l’artista ha realizzato utilizzando come supporto le pagine di un libro contabile siciliano risalente al 1828: i fogli del registro, organizzati in tabelle scandite dalle voci “Avere” e “Dare”, evocano un legame con la location della mostra, che nell’Ottocento accumulava proprio beni ceduti per il prestito su pegno di biancheria e oggetti di rame o bronzo. Tra le pagine del palinsesto – come già nel caso di Sibyl e molte altre opere di Kentridge – vi sono delle figure tracciate a carboncino che “danzano” e che, come in una processione, rimandano all’effimero dell’esistere: queste sagome, intervallate a un collage di forme geometriche e volti, sono dopotutto i protagonisti dell’opera dell’artista di origini ebraiche in un mondo dove “misfortune flows as from a water main” (la sfortuna scorre come da un corso d’acqua), come recita il brano del poeta sovietico Vladimir Majakovskij esposto in mostra. Accanto a questa desolante constatazione torna però qui, altra costante dell’opera di Kentridge, la radicale necessità di sperare e stringersi nella bellezza, cosa che spinge a ricercare il senso profondo delle cose in un vortice magico e consolatorio di immagini e suoni.
Giulia Giaume
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