Monet e la luce della Costa Azzurra. Grande mostra nel Principato di Monaco
Il pittore francese si lasciò ispirare dalla Costa Azzurra e dalla Riviera ligure, tra il 1883 e il 1888, scoprendo una nuova luce e il fascino della natura. Il Grimaldi Forum gli dedica una grande retrospettiva
Nel 1874, nell’atelier del grande fotografo Nadar, si tiene una mostra della società cooperativa degli artisti: Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926), allora 34enne, cresciuto a Le Havre in Normandia coltivando una propensione per il disegno en plein air, vi espone, con il numero 96, un dipinto dal titolo Impression, soleil levant, realizzato due anni prima. Il titolo diventa teoria: l’opera scandalizza, non è finita e appare svagatamente abbozzata, ma dà origine a una delle correnti pittoriche più fortunate della storia dell’arte. Negli anni successivi si terranno ben sette altre mostre con Monet e i suoi amici Impressionisti. La vita dell’artista sarà un susseguirsi di sfide vinte e lutti dolorosi: la sua amata Camille muore nel 1879 e dopo quattro anni di costernazione, nel 1883, proprio il viaggio in Riviera e Costa Azzurra, in compagnia dell’amico Renoir (che a sua volta da qui compirà la svolta aigre), dona a Monet un nuovo entusiasmo. Il pittore si appresta a “buttare via” tutto quanto fatto in precedenza, per ricominciare daccapo.
La mostra su Claude Monet in Costa Azzurra
La mostra al Grimaldi Forum di Monaco è curata da Marianne Mathieu, esperta del Musée Marmottan Monet di Parigi, da cui giungono diverse opere; ma una parte più cospicua dei lavori esposti proviene da collezioni private e musei d’Europa, Stati Uniti e Sud America. La mostra si struttura in tre fasi: la prima accoglie i capolavori iniziali e si nutre di confronti interessanti tra il primo Monet e quello dopo il 1874; la seconda sezione espone i quadri eseguiti nelle città di Bordighera, Dolceacqua, Mentone, Monaco, Cap Martin e Antibes tra il 1883 ed il 1888. L’anno seguente, grazie alla mostra realizzata con l’allora più celebre Auguste Rodin nella Parigi del centenario della Rivoluzione Francese e dell’Esposizione Universale, Monet otterrà il successo di critica e pubblico sperati. La terza sezione è una passeggiata tra le meraviglie di Giverny.
Da Bordighera e Giverny, tra palme e ninfee
Decisivo è l’incontro con Bordighera, cittadina ligure affacciata sulla Riviera dei Fiori, dove Monet torna da solo, e in gran segreto, nel 1884. La luce e i giardini della città, ma soprattutto le palme e l’amicizia con il signor Moreno, il cui giardino accoglie “tutte le piante dell’universo”, lo mettono in uno stato di eccitazione produttiva che alimenta i decenni a venire, culminando in quella sua opera naturalistica totale, non direttamente pittorica ma che rende possibile la sua pittura: la sua creatura, il giardino d’acqua a Giverny. Qui pianterà fiori e alberi, e costruirà il ponte giapponese sullo stagno delle ninfee, soggetto esclusivo degli ultimi decenni (e fino alla morte), protagoniste delle “grandi decorazioni” come di quadri dalle dimensioni più contenute, ma densissimi di colori che si rincorrono e intrecciano, e dove il ponte giapponese diventa un’astrazione ripetuta. La mostra rende conto di questo periodo felice, segnato da una produttività “a catena” che rispecchia la modernità campagnola, potremmo dire, di Monet. Interessante rilevare gli esiti astratti, influenzati dalla cataratta che affligge l’artista dal 1908 e che portano l’impressionismo atmosferico verso una concretezza pittorica che sarà d’ispirazione per gli astrattisti del dopoguerra.
Le opere in mostra a Monaco
Tra i dipinti esposti figurano le esondazioni della Senna (il suo fiume), le brume londinesi (Monet adorava la nebbia, maestra di pittura) e le “impressioni in pietra” raccolte a Venezia (l’ultimo viaggio, prima della “clausura” a Giverny), le atmosfere della Normandia. Molti tra questi sono quadri che il pittore non volle vendere mai, ereditati dal figlio Michel e donati al Marmottan. A Monaco, però, si aggiungono molti dipinti autoctoni (tutta la seconda sezione), tra cui spicca per originalità Monte-Carlo vista da Roquebrune, impression del 1883 (nella collezione di S.A.S. il Principe di Monaco), in cui la libertà della pennellata, che arzigogola con i toni del giallo, del rosa e del blu, dimostra un’allegria che esonda verso una soltanto apparente faciloneria; ne risulta un quadro aperto, un’astrazione fatta di macchie e circonvoluzioni di sapore contemporaneo, una prova d’artista che va ben oltre l’impressione.
La questione atmosferica che anticipa le avanguardie del Novecento
Quando Claude Monet irrompe con l’idea che interessante sia dipingere non tanto l’oggetto visibile quanto l’atmosfera, lo spazio d’aria che separa il suo sguardo dall’oggetto, a Parigi è al suo culmine l’art pompier, con il suo diktat del “tutto a fuoco”. Da collezione privata giunge La capanna dei doganieri (1897), un capolavoro in cui un Monet pienamente maturo sa infondere una gioia permanente e colossale nello spazio di una piccola tela. Qui trova la propria fine quella rappresentazione oggettiva del mondo come la intende il Positivismo ottocentesco, di cui la Parigi del barone Haussmann e dell’ingegnere Eiffel è la capitale, e per il quale, volendo rovesciare l’adagio nicciano, esistono soltanto fatti e non interpretazioni. Le pennellate di Monet scombinano il grande piano oggettivista, preparando lo spazio visivo-mentale per il Novecento e le sue avanguardie.
Nicola Davide Angerame
Principato di Monaco // fino al 3 settembre 2023
Monet en pleine lumière
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