Futuro Antico. Intervista al poeta e scrittore Fabio Pusterla
La meraviglia è il punto di partenza di chi scrive, e si nutre di vita e libri. È questa l’ispirazione di Fabio Pusterla, che immagina un futuro dal cuore antico
Fabio Pusterla (Mendrisio, 1957) è un prolifico poeta, saggista e traduttore svizzero. Ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Schiller Svizzero (nel 2007), il Premio Gottfried Keller e il Premio Napoli per l’intera carriera.
Pusterla ha studiato presso l’Università di Pavia ed è stato insegnante a Lugano e all’Università di Ginevra. Tra le sue traduzioni più significative, figurano opere di poeti francesi come Philippe Jaccottet, Antoine Emaz e Corinna Bille. Inoltre, è stato editore della rivista Idra dal 1988 al 1998, contribuendo significativamente alla scena letteraria svizzera.
Noto per la sua capacità di mescolare tradizioni letterarie e culturali diverse nei suoi versi, la sua poesia spesso esplora i temi della memoria, dell’identità culturale e della natura, e utilizza una lingua ricca ed evocativa per far emergere immagini poetiche suggestive.
La sua versatilità come scrittore e traduttore lo rende una figura di spicco nel panorama letterario svizzero e internazionale.
Intervista a Fabio Pusterla
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
La vita e i libri, direi. La vita, perché è dall’esperienza concreta che per me nascono la necessità e la possibilità di scrivere poesia. I libri, perché il tentativo di scrivere deve costantemente nutrirsi di letture e di dialoghi con altri autori, del presente e del passato. Tanto la vita quanto i libri suscitano a volte in me un effetto di sorpresa e di meraviglia: è da lì che prende avvio la scrittura. Il Marino scriveva “è del poeta il fin la meraviglia”. Per quanto mi concerne, rovescerei l’assunto: la meraviglia è il punto di partenza.
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Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Ho scritto una decina di libri di poesia, ma non userei il termine “progetto”. La poesia, per me, non nasce da un preciso progetto, ma bussa alla porta inattesa. La si fa entrare, non si capisce bene chi sia questa misteriosa visitatrice, si aspetta che cresca. Poi arriva il libro, e adagio adagio si comincia a capire cosa è successo: se c’era un progetto, quel progetto era nascosto o inconscio. Mi sento diversamente rappresentato da tutti i libri che ho cercato di scrivere, alcuni di loro sono nati davvero in maniera caotica, altri con un po’ più di consapevolezza iniziale. Ma tutti, un po’ come capita con i figli, li ho capiti meglio dopo.
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Scarsa, direi. Hanno molta importanza i luoghi, un po’ meno il preteso o presunto “genius”. Non diversamente agisce su di me il rapporto con la tradizione e con i maestri: alcuni di loro appartengono al “locus” in cui principalmente mi muovo (la Lombardia e la Svizzera italiana), altri sono lontanissimi nello spazio e nel tempo. Uno di loro, il poeta francese Philippe Jaccottet, ha dato moltissima importanza al paesaggio provenzale in cui è vissuto, ed è riuscito a distillarne qualcosa che potrebbe assomigliare davvero a un Genius Loci. Io sono nato sulla frontiera tra Italia e Svizzera, e cinquant’anni dopo ho capito che in realtà il mio “luogo” ha un nome ben diverso: megalopoli padana. Se mai dovessi pensare a un “genius”, dovrei cercarlo in questa dimensione; e sarebbe probabilmente un genius con le ali di catrame.
Passato e futuro secondo Fabio Pusterla
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
“Il mondo a venire dev’essere composto di ciò che è passato. Non c’è altro materiale disponibile”: così scriveva Cormac McCarthy nel suo romanzo Le città della pianura. Il futuro, se un futuro è possibile, ha sempre un cuore antico. Ma McCarthy proseguiva così: “Eppure credo che egli abbia visto il mondo disfarsi ai suoi piedi. Le procedure che aveva adottato per compiere il suo viaggio ora gli sembravano un’eco della morte delle cose. Credo che egli abbia visto l’avvento di una terribile oscurità”. Tra queste due polarità, una speranzosa e l’altra di segno opposto, sta la risposta attuale.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
Di leggere molto, avere molta pazienza. E di custodire il fuoco in segreto.
In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
L’idea di “sacro”, che per me è del tutto svincolata da quella di “religione”, mi sembra fondamentale; forse ancora più fondamentale oggi, in un mondo quasi completamente mercificato e asservito. Custodire lo spazio del sacro è un atto di resistenza e di speranza.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Non so e non voglio immaginare il futuro; vorrei dare un minimo contributo alla sua sopravvivenza. Dargli una possibilità. Andrea Zanzotto, interrogato sulla faccenda mezzo secolo fa, diceva che se la specie umana fosse riuscita a sopravvivere ai successivi 20 o 30 anni forse ce l’avrebbe fatta; oggi potremmo rispondere, forse con preoccupazioni anche maggiori, più o meno nello stesso modo. Quanto alle idee, direi che almeno due o tre questioni mi sembrano fondamentali: quella ambientale, per cominciare; poi la necessità urgente di redistribuire la ricchezza a ogni livello; infine il recupero di una rappresentanza e progettualità politica che oggi mi sembrano quasi del tutto azzerate. Le tre cose insieme significano: uscire dal modello del neocapitalismo avanzato, ritrovare altre vie di sviluppo. “L’ultima sfida all’ansia, un’utopia / alla paura di tutti”: sono due versi di una poesia scritta molti anni fa che si intitolava L’anguilla del Reno; mi ci ritrovo ancora.
Marco Bassan
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Marco Bassan
Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…