Si dimette Hartwig Fischer, direttore del British Museum di Londra
La fine del mandato di Fischer era annunciata, ma lo scandalo sui reperti rubati esploso negli ultimi giorni ha accelerato il processo, costringendo lo storico dell’arte tedesco alle dimissioni, dopo sette anni alla guida del museo londinese
Non è stato un anno semplice per Hartwig Fischer (Amburgo, 1962), da qualche ora ex direttore del British Museum di Londra. Con un comunicato ufficiale, lo storico dell’arte tedesco ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica che ricopriva da sette anni, primo dirigente non britannico alla guida dell’importante istituzione museale sin dal 1866. A capo del British Museum, dopo la ripartenza post-Covid, Fischer ha dovuto fronteggiare negli ultimi mesi l’annosa (e ancora irrisolta) controversia sui marmi Elgin, patrimonio scultoreo del Partenone sottratto alla Grecia nel 1823, al centro del dibattito internazionale sulla restituzione delle opere d’arte saccheggiate in epoca coloniale. Poi, all’inizio dell’estate, è esplosa la questione delle sponsorizzazioni da parte del gruppo petrolifero British Petroleum, che finanzia il museo dal 1996: molte istituzioni culturali londinesi, negli ultimi anni, hanno chiuso i rapporti con la compagnia, a differenza del British Museum, che ancora annaspa nell’imbarazzo di rinunciare a uno sponsor aziendale solido “in tempi di finanziamenti pubblici ridotti”, mancando così di prendere posizione nella questione legata all’impatto climatico e all’impegno richiesto in merito al mondo della cultura, che pure Fischer ha sempre dichiarato essere una priorità del museo (ma non è il direttore a prendere decisioni a riguardo).
Lo scandalo dei furti al British Museum
L’ultimo scandalo scoppiato tra le mura del British Museum, invece, ha direttamente travolto lo storico dell’arte tedesco, incapace di gestire la fuga di notizie circa i gravi e reiterati furti perpetrati ai danni della collezione permanente negli ultimi anni: sarebbero circa 1.500 le opere e i reperti trafugati dal principale sospettato del reato, il curatore Peter John Higgs, che per trent’anni ha lavorato al British, conducendo un’attività parallela assimilabile alla ricettazione (alcuni degli oggetti rubati sarebbero finiti in vendita persino su eBay). Il quadro emerso negli ultimi giorni vorrebbe Fischer informato e consapevole della grave situazione sin dal 2021, incapace (o non disposto?) però di affrontarla con misure severe.
Nominato direttore nel 2016, Hartwig fu scelto allora per traghettare il museo verso un rinnovamento necessario degli spazi storici e dell’allestimento della sconfinata collezione: piano che dopo lunga fase di programmazione dovrebbe prendere forma a partire dai prossimi mesi, cominciando con la pubblicazione di un concorso internazionale di architettura, per adibire nuovi spazi con funzione di ricerca e deposito. Durante il suo mandato, nel frattempo, Hartwig ha presieduto al riallestimento di alcune gallerie del museo, organizzando anche mostre di ampio respiro, alcune focalizzate proprio sui temi del colonialismo e della restituzione delle opere d’arte.
Dalla fine del mandato alle dimissioni obbligate
Circa un mese fa, rilasciando dichiarazioni che preannunciavano il suo commiato, Fischer parlava di “missione compiuta” circa l’incarico assegnatogli dall’amministrazione del museo: “Le basi per il rinnovamento del museo, che si protrarrà per decenni, sono gettate, è tempo per me di passare il testimone e sono entusiasta per la nuova fase della mia carriera”, spiegava al Guardian, con riferimento al passaggio dalla direzione di un’istituzione museale a un impegno più esteso per la tutela e il salvataggio del patrimonio culturale in tempi di crisi climatica, guerre e violenza.
Parole che alla luce degli ultimi avvenimenti assumono una connotazione dolceamara, come pure i ringraziamenti di commiato del presidente del museo George Osborne – sempre riferibili a un mese fa – “sull’integrità con cui Fischer ha condotto il suo ruolo in questi anni”.
“Negli ultimi giorni”, spiega ora Fischer, “ho ripercorso in dettaglio gli eventi legati ai furti. È evidente che il British Museum non ha risposto in modo così esaustivo come avrebbe dovuto agli avvertimenti del 2021 e al problema che ora è pienamente emerso. La responsabilità di tale fallimento spetta in ultima analisi al Direttore. Ho offerto le mie dimissioni al Presidente degli Amministratori e mi dimetterò non appena il Consiglio avrà stabilito un accordo di leadership ad interim. La situazione in cui si trova il Museo è della massima gravità. Credo sinceramente che supererà questo momento e ne uscirà più forte, ma purtroppo sono giunto alla conclusione che la mia presenza si sta rivelando una distrazione. Il British Museum è un’istituzione straordinaria ed è stato l’onore della mia vita guidarlo”. Osborne, dal canto suo, chiarisce che “sistemeremo ciò che è andato storto. Impareremo, riotterremo la fiducia e meriteremo di essere ammirati ancora una volta”.
In autunno, come previsto, si procederà con le selezioni per la nomina del successore di Fischer. Di certo, però, non era questo l’epilogo immaginato dal direttore uscente e dal British Museum, che ora dovrà pensare a una strategia solida per rimediare al danno d’immagine: difficile possa risolversi tutto con l’offerta all’opinione pubblica di un capro espiatorio. Nel frattempo è Mark Jones il direttore ad interim designato: ex direttore del Victoria & Albert Museum, è stato in passato anche curatore del Dipartimento di monete e medaglie del British Museum.
Livia Montagnoli
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