Trippat: due teenager napoletane e il loro brand che sta conquistando il mondo
Due giovanissime sorelle italiane sono la mente creativa del marchio. Oggi Madonna lo indossa e Laura Pausini lo sceglie per i propri ballerini. Ma qual è la sua storia? L’intervista
Napoletane, 18 e 15 anni, le sorelle Laura e Ludovica De Luca stanno colorando il mondo con Trippat, il progetto crochet “nato per caso” dalla voglia di riscoprire un’antica tradizione come quella del lavoro all’uncinetto, influenzato dalla musica, dalla street art e dalla cultura psichedelica degli Anni ’70 (ma con il piglio della Gen Z). I loro copricapi, acquistabili scrivendo alle due sorelle su Instagram, hanno conquistato personaggi del calibro di Jovanotti, Fiorello e persino Madonna, diventando in pochissimo tempo dei veri e propri must have del guardaroba.
Intervista al marchio emergente Trippat
Come e quando è nato Trippat?
A marzo 2020, durante il primo lockdown, quando avevamo 14 e 12 anni. A quell’età, in cui il mondo esterno ti plasma e ti definisce, poterlo soltanto osservare da dietro un vetro ti lascia poche possibilità. Invece di scappare da noi stesse rincorrendo la vita degli altri sui social, abbiamo deciso di affrontare tutte le difficoltà del conoscersi partendo dalle origini, dai nostri nonni. Ci è parso che il lavoro all’uncinetto fosse un ottimo ponte tra l’oggi e tutti quei racconti, foto e oggetti passati in cui eravamo immersi.
Come avete imparato?
Sapevamo che nonna Mena non ci avrebbe mai negato il suo tempo, così piano piano abbiamo imparato da lei. Il crochet, il movimento ripetitivo dei suoi punti, ti costringe a rallentare e a riprenderti il tuo tempo. Una vera terapia contro l’uso compulsivo dei social media. Dopo poco ci siamo rese conto che con rimanenze di filati e un uncinetto potevamo creare da zero qualsiasi capo; e abbiamo provato a rompere il cliché del manufatto démodé.
Che ruolo ha avuto nonna Mena nel vostro progetto?
Non credo che qualcuno possa essere consapevole di sé stesso più di quanto lo sia una nonna. Mentre noi ci affatichiamo a rincorrere l’attimo, sembra che sia il tempo a seguire lei. Molte tecniche le abbiamo imparate attraverso ore di tutorial, ma gli ingredienti fondamentali ce li ha insegnati Nonna Mena con la sua infinita pazienza: lei è Trippat.
Le origini di Trippat
E qual è il DNA di Trippat?
Non so se ci sia una ricetta precisa per ottenere Trippat, ma di sicuro i nostri ingredienti sono: la tradizione rivisitata, il sogno di un mondo “colourful”, la consapevolezza dell’importanza del vero fatto a mano. quindi il rispetto del pianeta e degli altri. Secondo il nostro parere, alla base di tutto questo c’è la curiosità di conoscere le radici.
Come mai si chiama così?
Si potrebbero spendere fin troppe parole riguardo al duplice concetto di “trip”, perciò viaggio psichedelico e avventuroso. Noi abbiamo pensato ad un percorso volto alla scoperta della nostra essenza: un inno all’unicità, alla complessità e ai colori. I nostri non potevano che essere TRIPPY HATS e, nel passaggio di bocca in bocca tra amici e familiari, erano anche destinati ad essere storpiati alla napoletana in Trippat (ancora non lo azzeccano, ovviamente).
Invece quali sono i vostri modelli del cuore?
Non c’è dubbio, l’ONI (il cappellino con le corna) sicuramente è il nostro modello che più ci rappresenta. Questa figura appartiene alla tradizione giapponese; si tratta infatti di un demone contraddittorio dalle mille interpretazioni e sfumature. Questa creatura ci ha portato fortuna e il successo di questo nostro primo azzardo ancora sopravvive, probabilmente perché simbolo dell’unicità di questa straordinaria cultura, e forse anche un po’ della nostra.
Avete un target di riferimento?
Il nostro target non ha né un’età definita né un genere, puntiamo a chiunque abbia il coraggio di non omologarsi, che veda la vita come un viaggio. C’è fin troppa gente spaventata dai colori. Forse per questo la collisione con il mondo dell’arte, della musica e dello spettacolo era inevitabile, ma è sempre una soddisfazione notare come chi si interessa al nostro progetto sia colorato e appassionato quanto noi.
Le celebrità che hanno indossato Trippat
Qual è il vostro miglior traguardo raggiunto finora?
È ancora difficile per noi realizzare che persone a cui ci siamo ispirate per tanto tempo possano rivedersi nel nostro progetto: solo le connessioni che siamo riuscite a creare semplicemente esprimendo noi stesse ci regalano ogni giorno un bagaglio di esperienze, conoscenze e soddisfazioni inesauribile.
Ad esempio?
In Italia, Fiorello con uno sguardo ha deciso di volerci includere nel programma televisivo “Viva Rai2”; Laura Pausini si è esibita circondata da ballerini vestiti Trippat, sostenendoci come hanno fatto Jovanotti, Luca Tommassini, Alessia Marcuzzi, Venerus, Noemi, Valentina Vernia e molti altri. Mentre all’estero poter contribuire in piccolo al mondo evocato da Madonna con il suo Celebration Tour è un traguardo forse impossibile da superare. Madonna ci sta insegnando moltissimo, e per quanto possa sembrare incredibile, siamo in costante contatto con lei anche per progetti futuri.
E c’è qualcuno che ancora non avete raggiunto ma che vorreste vedere indossare una vostra creazione?
Ultimamente in testa abbiamo la cantante Erykah Badu, che a partire da una stima artistica, documentandoci, abbiamo scoperto sempre più allineata ai nostri obiettivi, ai nostri gusti e alle nostre battaglie. Essere associate a una persona rivoluzionaria nella musica e nello stile, e attiva in lotte sociali tanto importanti, sarebbe una soddisfazione.
Invece quali sono le sfide più importanti che un brand emergente deve affrontare nel 2023?
Questi sono gli anni della moda facilmente reperibile, della produzione di massa, dei mini trend… sono cose dette e ridette, ma finché il discorso rimarrà bloccato a “il fast fashion è male”, sarà difficile che i piccoli brand possano prevalere sulle grandi catene. L’obiettivo più importante che tutti noi rappresentanti dello slow fashion dobbiamo fissarci è rendere questa idea di moda qualcosa di veramente appetibile, non per il solo fatto che sia sostenibile, ma perché unica, valida, interessante.
Come?
Trovare persone disposte a scegliere questo tipo di prodotto, quando possono spendere molto meno tempo e denaro acquistando un costume da Shein, non è facile. A questo punto, assumersi la responsabilità di alimentare l’onda che, partendo dal vintage, sta facendo riprendere vita a un fashion colorato e variegato, potrebbe essere l’unica speranza di rinascita nella moda.
Valeria Oppenheimer
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