Viaggio nella Bulgaria. Fiera e isolata tra monasteri e patrimonio artistico
Ancora sconosciuto al turismo di massa, il Paese balcanico con capitale Sofia si rivela ben oltre le attrazioni della sua principale città. Connesso con una spiritualità antica, che ne racconta la storia anche attraverso l’arte
“L’ultima guida della Lonely Planet è uscita nel 2017, ma non l’hanno mai ristampata”. Le parole del commesso della libreria sono definitive, e trovano conferma nello scaffale dove troneggiano centinaia di titoli dedicati a ogni angolo del pianeta, dall’Asia Centrale ai Caraibi. Il globo viene riassunto dai volumi compulsati da viaggiatori e turisti per cercare alberghi, ristoranti, spiagge e monumenti, eppure un Paese manca da sei anni: la Bulgaria. Sgomento e incredulo, comincio a spostare guide sulla Bolivia, il Botswana e il Brasile, e scopro, seminascosta dalle copertine colorate della Lonely, il sottile dorso verde dell’unica copia della guida della Bulgaria del Touring Club, uscita nel 2019. La mostro al commesso, che mi guarda stupito e dice: “Non sapevo nemmeno che fosse ancora qui. È l’ultima copia rimasta”. Esco e provo molta simpatia per l’unico Paese scampato alla trappola del turismo di massa, orfano della global guide par excellence.
Sofia, tra Oriente e Occidente
Ogni volta che visito un Paese dell’area balcanica ho una forte sensazione di precarietà, come se ciò che vedo non aderisse del tutto alla vita delle persone, talmente abituata ai cambiamenti da essere indifferente ai segni della storia, che qui assumono proporzioni monumentali, spesso minacciose. Cammino nelle piazze del centro di Sofia – dove passa una macchina ogni tre minuti – e il mio sguardo indugia davanti a facciate di ministeri, banche e uffici pubblici con colonne e timpani di marmo, davvero sproporzionati per la scala umana. L’impressione che il regime comunista voleva dare al popolo era di un potere assoluto e impenetrabile, lontano e indifferente alle esigenze delle singole persone, per la maggior parte contadini illetterati, che si consolavano, allora come oggi, con i riti della chiesa ortodossa, legati a un rapporto quasi fisico con le immagini religiose.
Il luogo che più rappresenta questa dicotomia è la chiesa di San Giorgio, completamente nascosta nel cortile del minaccioso palazzo della Presidenza della Repubblica, sorvegliato da guardie del tutto indifferenti ai rari turisti che varcano l’ingresso colonnato per raggiungere il modesto edificio in mattoni rossi al centro della corte. All’interno della chiesa, costruita nel IV secolo e rimaneggiata più volte, si apre un altro mondo: la luce calda delle candele illumina centinaia di icone appese alle pareti e fa risplendere l’oro dell’iconostasi, mentre la cupola è rivestita da affreschi dell’XI Secolo. Qui i bulgari si inginocchiano davanti agli altari, accarezzano le madonne incoronate rivestite d’argento, baciano i volti dei santi, accendono le sottili candele di cera acquistate all’ingresso, per sottolineare il rapporto di gratitudine verso un mondo superiore, capace di ascoltare richieste, voti e desideri che mai potrebbero rivolgere alla classe politica. Piuttosto che nell’immensa e gelida Cattedrale Alexandr Nevski, costruita in un arrogante e freddo stile neobizantino e considerata il monumento simbolo di Sofia, è qui che batte il cuore della città.
La Sistina bizantina di Bojana
La stessa atmosfera intima si ritrova all’interno della chiesa di Bojana, immersa nel verde alla periferia di Sofia: la chiesetta bizantina compare alla fine di una breve passeggiata tra gli alberi, incorniciata dalla vegetazione. L’ingresso è basso, protetto da una pesante porta metallica: si entra in piccoli gruppi, accompagnati da una giovane ragazza bulgara. L’interno è una Cappella Sistina ortodossa in miniatura, completamente rivestita di affreschi dai colori delicati: un racconto che unisce storie diverse, in un pantheon di immagini davvero vertiginoso, sotto lo sguardo autorevole e ieratico dei re bulgari Konstantin e Irina, raffigurati su una parete. Mi colpiscono le vesti di san Nicola, dominate dalla presenza di quelle croci nere che avrebbero ispirato i dipinti astratti di Malevič: un singolo dettaglio in un orizzonte figurativo immobile, attivato dallo sguardo di un artista per dare vita a un altro mondo, superare la forma per andare verso lo spirito nella sua sintetica purezza. Un passaggio attraverso quella croce-soglia che a Bojana appare in tutta la sua essenziale semplicità, nella forza spirituale di quelle immagini dove si concentra l’unica identità nazionale nella storia della Bulgaria, prima della dominazione musulmana e sovietica.
Tra terra e cielo. Alla scoperta dei monasteri-fortezza della Bulgaria
Dov’è l’anima di questo popolo ruvido, che non mostra atteggiamenti di adulazione verso gli stranieri ma possiede una gentilezza silenziosa ma autentica? Non ancora assuefatti all’affettazione provocata dal turismo di massa, mostrano la loro natura autentica nei monasteri, dove la religione ortodossa richiede una devozione assoluta, che sfiora la sottomissione. Riconoscibili in fondo a vallate isolate, coperte da boschi molto fitti, sono candide fortezze inviolate, dove regna una serenità quasi innaturale. Tutti hanno la stessa pianta: la chiesa centrale affrescata con scene sacre, e intorno le celle dei monaci affacciate su loggiati di legno scuro. Un grande contrasto tra la luce naturale che inonda la corte e la semioscurità dell’interno della chiesa, con le file dei fedeli che aspettano pazienti davanti all’icona miracolosa. Ogni monastero, però, ha qualche caratteristica che lo rende diverso dagli altri.
A Rila è impressionante la cucina, con un gigantesco pentolone per nutrire una comunità di centinaia di monaci, mentre a Bačkovo il guardiano del museo apre solo su richiesta e a pagamento l’antico refettorio, un locale rettangolare interamente rivestito di affreschi datati 1643. Il soffitto a volta è occupato dall’albero genealogico di Cristo, e l’unico arredo della sala è un lungo tavolo di marmo consunto, dove generazioni di monaci hanno consumato i pasti in silenzio. Colpisce l’abbondanza di fontane, dalle quali sgorga un’acqua gelida e purissima, che i visitatori possono bere grazie a un cucchiaio in legno, appeso a un lato della fonte. L’esistenza del monastero non può prescindere dalla presenza dell’acqua, che ne costituisce la linfa vitale.
La ruvidezza selvatica dei bulgari scompare nell’intimità di questi spazi sacri, dove i gesti diventano intimi, dolci e composti. Al monastero di Trojan un uomo massiccio e muscoloso bacia la guancia della Vergine delle tre mani con una delicatezza inaspettata, mentre a Sofia, nella chiesa di Santa Domenica, un signore in giacca e cravatta aspetta paziente la benedizione impartita da un giovane pope in tonaca nera, attraverso l’aspersione di un mazzetto di fiori viola immerso nell’acqua benedetta. O ancora si può condividere con una famiglia il pane benedetto, dopo averlo intinto in una coppetta d’olio, nella chiesa della Dormizione a Koprivštica. Una devozione così assoluta rimanda a una ritualità medievale, ancor più sorprendente perché proprio da queste terre intorno al X secolo si era espansa nel mondo bizantino l’eresia dei Bogomili, che metteva fortemente in discussione l’autorità della chiesa ortodossa.
Nelle città dal cuore antico della Bulgaria
Per i rari turisti europei – soprattutto francesi e spagnoli, pochi gli italiani – la Bulgaria è soprattutto Sofia e dintorni: quasi nessuno si spinge a est, verso la regione danubiana e le coste del Mar Nero. Da Plovdiv in poi il paesaggio è un susseguirsi di boschi intervallati da pianure coltivate, con pochi centri abitati di carattere rurale, dove gli abitanti parlano solo bulgaro. Qui l’impressione di attraversare un Paese fermo alla metà del secolo scorso si fa più forte, anche a causa della sparizione totale di infrastrutture rivolte a un turismo internazionale, anche se le strade sono in condizioni buone, e ovunque regna la massima pulizia. In città dal cuore antico come Plovdiv, Veliko Tarnovo o Ruse, luogo di nascita di Elias Canetti che vi ambientò il suo romanzo La Lingua salvata (1977), la Bulgaria rivela la sua anima più arcaica. In una distesa di verde sopra Veliko Tarnovo appare il monastero della Trasfigurazione, dove un’anziana signora con una ventina di gatti custodisce l’edificio semiabbandonato, mentre da lontano appare la chiesa costruita sopra le rovine della fortezza di Asen, a strapiombo su una gola non lontano dalla città di Asevnograd. Il culmine del rapporto tra natura e cultura si raggiunge però alle chiese rupestri di Ivanovo, immerse in un contesto naturale incontaminato, dove due ambienti scavati nella roccia a strapiombo su una vallata sono stati interamente affrescati intorno al 1360, con scene religiose in stile bizantino.
Domesticità. Scene d’interni da Koprivštica
Pochi mobili, arredi rustici ma essenziali, stoffe e tappeti prodotti dal commercio della lana. Il mondo privato e domestico dei bulgari fa da protagonista a Koprivštica, una remota cittadina di montagna dove nel 1876 è scoppiato il primo moto di ribellione al dominio ottomano, grazie all’azione di alcuni intellettuali illuminati come Georgi Benkovski o Todor Kableskov. Le loro case raccontano in maniera intima ma significativa un modo di vivere semplice ma non privo di raffinatezza, incentrato sull’intreccio tra Oriente e Occidente. Facciate dipinte a colori vivaci, interni spaziosi disposti su due livelli: il piano nobile riservato alla rappresentanza, con bassi divani che corrono lungo le pareti, rivestiti di tessuti colorati o pelli di pecora, salottini e sale da pranzo per riunioni di affari e camere con bassi letti singoli. Al piano terra le stanze di servizio e di lavoro, con strumenti e manufatti originali, alle pareti icone e paesaggi di genere. Molti fiori nei giardini, silenzio e poco traffico per le strade di questo borgo di montagna, dove nell’Ottocento vivevano 15mila persone e oggi sono rimaste poche centinaia di abitanti, impegnati nella coltivazione dei campi o nel turismo locale. Qui batte il cuore della Bulgaria libera e indipendente: un paese fiero e isolato, e proprio per questo ancora da scoprire.
Ludovico Pratesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati