Sulla “strada delle battaglie”. Lungo la Via Francigena a due passi da Milano
Da Vercelli a Pavia, passando per Mortara e Sant'Albino, la Via Francigena è stata testimone silenziosa di alcuni dei più epocali sconvolgimenti della storia d'Italia e d'Europa, e di alcune sanguinose battaglie, come lo scontro definitivo tra Longobardi e Franchi. Un itinerario per scoprirla
Alcuni cammini hanno fatto l’Europa. Dopo le vie consolari romane, la tradizione dei pellegrinaggi religiosi verso le grandi mete spirituali ha consolidato percorsi capaci di mettere in comunicazione paesi, culture e lingue diverse, dando continuità a un continente ormai frammentato dalle guerre e dalle tensioni che definirono la fine dell’Impero Romano. Alcune vie, come il Cammino di Santiago, hanno trovato una consacrazione turistica, ma in Italia esistono anche altri percorsi le cui origini si perdono nella profondità della storia, com’è la Via Francigena, che collega Canterbury con Roma.
Lungo la Via Francigena, da Vercelli a Pavia
L’enorme potenziale della Via Francigena sta anche nel fatto che questo itinerario accarezza letteralmente alcune delle più grandi città italiane, ed è sulle tappe più vicine alla principale area metropolitana del nord Italia che ci concentreremo. Sia chiaro: la vicinanza con Milano e l’attraversamento della popolosa Lombardia non comporta in assoluto l’ingombrante presenza antropica. Anzi, in questi tratti del percorso la natura la fa da padrone, e la ubertosa Pianura Padana emerge in tutta la sua grassa e ruvida bellezza.
Le tappe in questione, oltre all’indubbia comodità offerta dalla vicinanza metropolitana (sono infatti facilissime da raggiungere in treno e con i mezzi pubblici) presentano numerosi elementi di interesse storico, soprattutto per gli appassionati della grande Storia e delle battaglie campali che hanno dato forma al mondo così come lo conosciamo.
Il percorso che da Vercelli conduce a Pavia si snoda in 60 chilometri pianeggianti, di relativa comodità. L’itinerario si può suddividere in due o tre tappe, e attraversa ben tre luoghi cardine della vicenda della storia d’Italia e d’Europa.
Dalla battaglia di Palestro al Regno d’Italia
Il campo di battaglia di Palestro si incontra appena superato il fiume Sesia che bagna la bella cittadina di Vercelli, dove si ha modo di stupirsi per l’architettura romanico-gotica francese di sapore cistercense del Sant’Andrea, su cui si dice lavorò anche l’architetto Benedetto Antelami (Giulio Carlo Argan, in effetti, riteneva che l’intera chiesa fosse opera del grande scultore-architetto).
A Palestro, tra il 30 e il 31 maggio 1859, avvenne una battaglia fondamentale per la storia del nostro Paese: qui infatti, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, si scontrarono le truppe piemontesi di Vittorio Emanuele II e quelle francesi di Napoleone III da una parte e quelle austriache dall’altra. La vittoria franco-piemontese permise di creare confusione tra le fila austriache, e consentì a Napoleone III di raggiungere la città di Milano. I numeri dello scontro furono ingenti, con oltre trentamila uomini presenti sul campo. Solo due anni dopo, il 17 marzo 1861, venne proclamato il Regno d’Italia: per questo motivo, Palestro è ricordata in numerose vie e piazze di tutta la Penisola.
Oggi Palestro è una sonnacchiosa cittadina, appena memore del suo turbolento passato: l’ossario ricorda le vittime della battaglia, e un monumento commemora l’impegno degli zuavi a favore della causa dell’unità d’Italia.
Il Romanico e l’arte sacra in Lomellina
Proseguendo sulla Via Francigena, nel cuore della Lomellina si accede a una terra ricchissima di castelli, il cui fertile terreno ha consentito una continuità abitativa sin dai tempi arcaici. Prova ne è l’antica Redobium romana, conosciuta oggi come Robbio. Qui, tra risaie sconfinate, si scoprono due gioielli romanici: la chiesa di San Pietro, che offriva ospitalità ai pellegrini, e la bella abbazia di San Valeriano, con le sue absidi e la facciata in cotto. Anche la facciata gotica di San Michele presenta un portale e un rosone in cotto, degno della qualità di un Agostino de Fondulis da Crema. All’interno sono presenti degli affreschi, tra cui una Natività del XV secolo, particolarmente interessanti. A Robbio pare si fermò nel suo pellegrinaggio lungo la Via Francigena anche il Re di Francia Filippo Augusto nell’anno 1191./
Mortara, la Roncisvalle italiana
Poco oltre, ecco un luogo epico, che lo storico abbiatense Michele Moscardin ha giustamente definito “la Roncisvalle italiana”: Mortara. Il suo nome deriverebbe dall’espressione latina “Mortis Ara”, cioè “altare dei morti”: qui infatti avvenne una delle battaglie campali più sanguinose della storia, che oppose l’esercito longobardo di re Desiderio a quello dei Franchi di Carlo Magno, nel 773 d.C.; secondo le cronache il numero delle vittime avrebbe superato le settantamila unità, 44mila Longobardi e 32mila Franchi. Una cifra spaventosa.
Il campo di battaglia non è ancora stato correttamente identificato (le fonti parlano di una battaglia di “Pulchra silva”, l’antico nome dell’abitato), e forse una campagna archeologica con georadar potrebbe dare grande soddisfazione agli archeologi e riportare alla luce un gran numero di reperti e riesumare i corpi delle persone che persero la vita.
In seguito alla battaglia di Mortara, Carlo Magno raggiunse Pavia e la mise sotto assedio: un evento che portò in poco tempo alla caduta del regno longobardo e alla sua annessione a quello franco. La nuova Europa di matrice carolingia era nata.
Appena prima di raggiungere Mortara, il santuario di Santa Maria de Campo, ricorda la battaglia del 773 in un affresco del 1915 realizzato dall’artista Ferdinando Bialetti. Nell’abside, invece, sta una Madonna del Latte dipinta nel 1514 da Tommasino da Mortara; attorno, spiccano per il vigore espressivo gli angeli musicanti dipinti nel 1595 da Giovanni Maria Crespi detto il Cerano. La prima menzione della chiesa risale al 1145, ma l’edificio sacro venne in seguito ricostruito in forme rinascimentali di forte sapore bramantesco. In particolare, è il suo antico nome ad attirare la nostra attenzione: era nota infatti come Santa Maria della Pertica.
L’origine di questo curioso nome è spiegata da Paolo Diacono, l’autore della fondamentale Historia Langobardorum ed erudito membro dell’entourage di Carlo Magno. “Quel luogo si chiama ‘Alle Pertiche’ perchè una volta c’erano delle pertiche, cioè delle travi erette, che solevano essere disposte a quel modo secondo un uso longobardo, per questa ragione: se uno moriva da qualche parte, o in guerra o in qualunque altro modo, i suoi parenti piantavano fra i loro sepolcri una pertica, sulla cui sommità mettevano una colomba di legno, rivolta in direzione del luogo in cui il loro caro era morto. Ciò per sapere da che parte riposasse colui che era morto”. È plausibile pertanto ipotizzare che tali pertiche fossero state piantate dai parenti delle vittime longobarde della battaglia di Mortara del 773 e che la chiesa menzionata a partire dal 1145 sia legata ad un cimitero di epoca longobarda.
L’abbazia di Sant’Albino, tra storia e leggenda
Ma a Mortara la storia si intreccia con la leggenda, nell’abbazia di Sant’Albino, edificata su un’antica pieve dedicata a Sant’Eusebio di Vercelli risalente al V secolo, in piena epoca paleocristiana. Secondo la tradizione, dopo la Battaglia di Mortara, lo stesso Carlo Magno volle ricostruire la chiesa e farne un cimitero per i guerrieri caduti.
Il racconto è commovente e degno di essere ricordato. Pare che a fianco della pieve di Sant’Eusebio sorgesse un’altra piccola cappella dedicata a San Pietro. Lo scontro del 12 ottobre 773 vide la morte di due paladini Franchi: Amelio d’Alvernia, coppiere del re, e il tesoriere reale Amico Beyle. I due erano legati da uno strettissimo legame d’amicizia, e per decisione di re Carlo Magno vennero seppelliti nel luogo della battaglia: Amico nella cappella di San Pietro e Amelio in quella di Sant’Eusebio. Eppure, durante la notte accadde un fatto miracoloso e il mattino seguente entrambe le tombe furono ritrovate fianco a fianco sotto l’altare di Sant’Eusebio.
Quando il consigliere spirituale di Carlo Magno, Alcuino/Ahlwin di York, il cui nome latinizzato era Flaccus Albinus Alcuinus, venne informato dell’evento, fece erigere di fianco alla cappella di Sant’Eusebio un monastero, che venne intitolato dai frati a Sant’Albino di Angers, vescovo francese del V secolo, in onore del nome latinizzato del fondatore Alcuino/Ahlwin di York.
Potrebbe ipotizzarsi che il monastero sia stato creato da Sant’Albino II, vescovo di Vercelli dall’anno 800 fino a circa l’826. La chiesa venne modificata in epoca romanica, e la decorazione dell’interno risale al 1410, quando l’abside venne affrescata da un certo “Yohanes de Midiolano qui abitat in Tridino”, omonimo del ben più celebre Giovanni da Milano che decorò nel 1365 in un brillante stile gotico la Cappella Rinuccini all’interno della basilica di Santa Croce a Firenze. Di chiunque si tratti, gli affreschi di Sant’Albino sono impressionanti per stato di conservazione. Sembra possibile metterli in relazione con la Natività del XV secolo di San Michele a Robbio.
Alla destra dell’altare un’urna contenente i resti di due uomini rinvenuti nel 1928 conserverebbe le ossa dei paladini Amico e Amelio. Qualche anno fa i reperti vennero analizzati con la tecnica del carbonio 14: i risultati rivelarono che i due individui erano vissuti attorno all’anno Mille, ed erano forse pellegrini.
Oggi spiace vedere il triste stato in cui è ridotta la pregevolissima architettura medievale e gotica della ex foresteria di Sant’Albino (speriamo che la Soprintendenza faccia presto il suo dovere e intervenga per restaurarla). La foresteria, nell’ottica di un potenziamento di questo tratto della Via Francigena che potrebbe essere benissimo ribattezzato come “Strada delle Battaglie”, potrebbe diventare un centro di interpretazione del Cammino, con narrazione degli eventi accaduti a Sant’Albino e le battaglie che si sono svolte in epoca altomedievale e moderna a Mortara.
Pavia e lo scontro cruciale tra Spagna e Francia
Da Mortara, superata Tromello, si raggiunge Lomello, capitale storica della Lomellina. La basilica di Santa Maria Maggiore e del battistero, caposaldo del Romanico Lombardo, valgono la deviazione. Pavia è l’ultima tappa di questo percorso nella storia d’Italia. In città si svolse una battaglia fondamentale delle cosiddette Guerre d’Italia del Rinascimento: il 24 febbraio del 1525 sulle rive del Ticino si scontrarono le truppe imperiali di Carlo V d’Asburgo con quelle di Francesco I di Francia. L’imperatore del Sacro Romano Impero schierò ben 12mila lanzichenecchi e cinquemila Tercios de Flandes, che dopo una cruenta battaglia ebbero la meglio sul sovrano francese, che venne catturato. Solo due anni dopo, Roma subì l’atroce Sacco del 1527 da parte dei lanzichenecchi, lasciati (relativamente) liberi di agire (con colpevole connivenza di alcune gloriose casate romane) per lanciare un messaggio al Papa Clemente VII Medici, di orientamento filofrancese.
Punto di arrivo è il Ponte Coperto di Pavia, con la cupola del Duomo che si riflette nelle acque che bagnano Borgo Ticino. La bellezza dell’Italia è anche nella provincia da percorrere e da scoprire con calma, passo a passo.
Thomas Villa
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