Attiviste sul red carpet contro i registi stupratori. Finalmente un po’ di bagarre a Venezia

L’infinita vicenda sulla presunta pedofilia di Woody Allen agita il festival in Laguna. Femministe in assetto di protesta, arrabbiate inoltre per la partecipazione di Besson e Polanski. Anche loro al centro di accuse pesanti per molestie sessuali

L’eco del #Metoo non si spegne, a distanza di anni: la condanna del mega produttore Harvey Weinstein, connessa a una serie di molestie sessuali in ambito professionale, ha segnato una ferita bruciante nel mondo del cinema occidentale, tra USA ed Europa. Lo strapotere dei maschi su attrici e lavoratrici dello spettacolo, perpetrato in forma ricattatoria nel silenzio e nell’opaca accondiscendenza di un sistema assuefatto al malcostume patriarcale, scatenò una bomba mediatica, culturale, giudiziaria. Uno sconcertante vaso di Pandora in cui non mancarono, insieme al carosello di prove, confessioni, condanne, anche varie controversie legate ad accuse indimostrabili, smentite, contestate, archiviate.

Attivisti contro la violenza sulle donne
Attivisti contro la violenza sulle donne

Attiviste in campo a Venezia 

Ma di storie di violenze a sfondo sessuale, condotte parimenti fuori da set, se ne contano parecchie nell’ambiente. E non da adesso. Storie antiche, dalle estenuanti vicende processuali, oggi vissute dall’opinione pubblica con rinnovato e rinvigorito sdegno. Qualcosa, nella coscienza collettiva, è mutato.
Così, per chi prosegue la sua missione di denuncia e di sensibilizzazione pubblica, l’80. Mostra internazionale d’arte cinematografica si fa teatro perfetto per gridare il proprio sdegno. Alla luce, per altro, dei casi di cronaca recentissimi che hanno travolto la spensierata girandola di notizie e immagini vacanziere nel cuore dell’estate italiana: il caso di Palermo e quello di Caivano, su tutti. Due terremoti, a cui il mix di rabbia e nausea è seguito copioso, generando un dibattito dai mille rivoli.  
A Venezia, dunque, tra plausi e bocciature al margine delle attesissime preview, interviste da prima pagina, sfilate di rito sul red carpet, shooting e party esclusivi, trova posto la protesta di un gruppo di attiviste (non senza il supporto e la partecipazione di alcuni uomini) provenienti da tutto il Veneto, con varie associazioni a guidare l’azione dimostrativa. Il luogo scelto è, non a caso, il tappeto rosso del 4 agosto, su cui sfila il cast di Coup de Chance, cinquantesimo film diretto da Woody Allen e sua prima prova in lingua francese, girato interamente a Parigi. Il regista, insieme alla moglie Soon-Yi Previn, erano lì, dinanzi al Palazzo del Cinema, a raccogliere gli onori della folla. “Spegnete i riflettori sugli stupratori” è l’urlo giunto dal gruppo di donne – alcune a seno nudo – in assetto di battaglia. Diffuso un volantino, in italiano e inglese, in cui a essere stigmatizzata è la presenza, tra i protagonisti del festival, di tre registi coinvolti in casi di abusi sessuali: oltre ad Allen, indici puntati contro Luc Besson, in concorso con l’oscura fiaba di Dogman, e Roman Polanski, che fuori concorso presenta la commedia nera The Palace. Si legge sul flyer: “quest’anno la Biennale del cinema di Venezia ha scelto di dare spazio a registi coinvolti in vicende di violenze sessuali contro donne, anche minorenni. Le scuse, accampate dal direttore della Mostra Alberto Barbera, seguono il vecchio copione della distinzione tra uomo, responsabile davanti alla legge, e l’artista, il cui genio non è mai giudicabile poiché superiore e libero da responsabilità terrene. Non fareste mai sfilare sul red carpet chi ha agito, solo per citare gli ultimi casi, gli stupri di Palermo, Caivano e Milano“.

Roman Polanski a Cannes nel 2013. Photo: Georges Biard (Wikipedia Commons)
Roman Polanski a Cannes nel 2013. Photo: Georges Biard (Wikipedia Commons)

I casi Allen, Polanski e Besson 

Intricatissima, controversa e lunga trent’anni la vicenda che si è abbattuta come una slavina sulla testa di Allen, nei primi anni ’90. Una storia complicata, che nasce e si ramifica nel contesto della sua relazione con la compagna Mia Farrow, madre di diversi figli, biologici e adottivi, avuti anche da precedenti matrimoni: tra questi la bimba di origini coreane Soon-Yi, a cui andò il cognome dell’ex marito di Mia, André Previn. Destò scandalo e disapprovazione la scoperta di una liaison tra la ragazza, ormai ventenne, e Woody Allen, sorta di patrigno, che di anni ne aveva 57. Il legame con Farrow esplose, la famiglia allargata andò in frantumi, ma lui, alla fine, sposò lei, contro ogni sospetto e pubblica condanna. Tra aspre battaglie legali per l’affidamento dei figli, emerse allora l’accusa infamante: il regista avrebbe molestato Dylan, figlia adottiva di Farrow, quando questa aveva 7 anni. Tesi respinta con fermezza dall’interessato – convinto della furia vendicativa dell’ex compagna delatrice, ferita per la storia con Soon-Yi – e mai supportata da prove, tantomeno da condanne. Con l’esplosione del #Metoo il caso Allen, nonostante la assoluzioni, è tornato sotto i riflettori, generando azioni di boicottaggio e duri attacchi nei confronti del regista, fino al lancio, nel 2021, di Allen vs Farrow, documentario in quattro puntate diretto da Kirby Dick e Amy Ziering, da lui definito “un attacco feroce infarcito di falsità”.
Anche quella di Polanski è una storia a tinte fosche, con tanto di sviluppi biblici. Il regista, vincitore di tre Oscar e una Palma d’Oro, ha più volte fatto i conti con procedimenti per abusi: ben quattro dagli anni ’70 a oggi. Il più antico risale al 1977, quando venne accusato a Los Angeles di “violenza sessuale con l’ausilio di sostanze stupefacenti” ai danni di una ragazzina di tredici anni, Samantha Geimer, modella, figlia di una conduttrice televisiva: i due si trovavano nella villa di Jack Nicholson. Polanski ammise la colpa, dietro patteggiamento (“rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne”), venn condotto in carcere e dopo 42 giorni rilasciato con la condizionale. Fu allora che fuggì a Londra e poi a Parigi, evitando così l’estradizione. Non avrebbe mai più messo piede in America. La vicenda avrebbe avuto conseguenze e risvolti da romanzo noir, fino alla riapertura del caso, nel 2022, quando venne rintracciata la prova di una promessa di libertà, da parte del giudice inquirente, in cambio dell’ammissione di colpa. Altre accuse, frattanto, si sarebbero sommate a questa, mentre la rocambolesca vicenda di fuggitivo e di imputato avrebbe registrato una serie di mandati di cattura, processi per diffamazione, arresti a sorpresa e controversie d’ogni sorta.
Assoluzione piena invece per Besson, prosciolto lo scorso giugno: la Corte di Cassazione francese ha respinto definitivamente le accuse dell’attrice belga-olandese Sand Van Roy, che con lui aveva avuto una relazione di due anni e che lo aveva poi indicato come autore di una violenza carnale nei suoi riguardi. Dopo la denuncia, altre otto donne si erano fatte avanti, sostenendo di essere state aggredite o molestate dal regista nel corso degli anni. Al termine di diverse indagini, però, nel 2021, arrivò l’archiviazione, quindi il ricorso in appello di Van Roy. E oggi la parola fine, a favore di Besson.

Soon-Yi e Woody Allen al Trobeca Film Fest 2009. Photo: David Shankbone (Wikipedia Commons)
Soon-Yi e Woody Allen al Trobeca Film Fest 2009. Photo: David Shankbone (Wikipedia Commons)

Caso Allen alla Mostra del Cinema di Venezia. Il commento del direttore Barbera

Dunque, al di là del tema spinoso che riguarda la distinzione tra uomo e artista, tra vita privata e genio creativo, condivisibile soprattutto dinanzi a casi non chiari, irrisolti, scalfiti giusto dall’ombra del sospetto o dal brusio del mero chiacchiericcio, ci sono storie in cui il verbo dell’assoluzione dovrebbe implicare una tregua, un armistizio. E la fine – anche – della guerra mediatica. Così la pensa Alberto Barbera, rispetto al caos esploso a Venezia contro Woddy Allen: “prendiamocela con chi veramente è uno stupratore, un violentatore di donne, non con chi è stato completamente scagionato da ogni accusa. Tutto ciò non fa bene alla causa per la quale si combatte. Essendo una battaglia giusta e condivisibile, bisogna combattere insieme nel modo corretto e lottando contro le persone che meritano di essere additate alla pubblica opinione, non certo un signore 87enne che 25 anni fa è stato scagionato da ogni colpa“. Diversa e assai più prudente la politica di Thierry Frémaux, direttore della Croisette, dove Coup de Chance non ha trovato posto: “sappiamo che se fosse stato mostrato a Cannes, la polemica avrebbe occupato tutto lo spazio, nuocendo al film e a tutti gli altri”, aveva spiegato a Le Figaro. Scelta che Vittorio Storaro, grande direttore della fotografia, collaboratore di lungo corso di Allen, non esitò a bollare come inaccettabile: “sono scandalizzato e indignato che Cannes abbia scelto di non presentare il suo ultimo film. Il tutto per le accuse fatte dalla moglie Mia Farrow e dalla figlia Dylan. Voglio ricordare a tutti che Woody Allen è stato già assolto per queste accuse due volte. Questa ossessione del #MeToo prosegue e, sì, sta portando alla luce problemi sistemici reali, ma sta anche provocando molti danni ingiusti. È una caccia alle streghe che supera i limiti del buon senso”.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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