I “tesori” dell’artista Agostino Arrivabene in mostra a Ferrara
Nasce da una rilettura continua dei maestri antichi l’urgenza artistica di Arrivabene, gesto d’amore per il divino che si concretizza in una pittura eccentrica e sperimentale
Sul duplice piano del Rinascimento e della contemporaneità, oltre che in intima connessione con il mondo ellenico, la ricerca dei primitivi e l’arte fiamminga, si snoda l’opera dell’artista Agostino Arrivabene (Rivolta D’Adda, 1967), capace di riferirsi ai maestri del passato connettendoli al presente, in un dialogo mai interrotto.
È quanto conferma la mostra – Thesauros – , antologica dell’artista a cura di Vittorio Sgarbi, allestita nelle sale dell’Ala Tisi di un Palazzo dei Diamanti a Ferrara completamente rinnovato.
La mostra di Agostino Arrivabene a Ferrara
L’accesso è introdotto da due targhe permanenti dedicate a Roberto Longhi, per la nascita dell’Officina Ferrarese, e a Franco Farina, per aver condotto a Ferrara l’arte contemporanea.
E il percorso che indaga le relazioni di Arrivabene con i maestri antichi è avviato proprio dal riferimento a Ercole de’ Roberti, la cui influenza è presente in due dipinti esposti nella prima sala, nell’ambientazione de Il sogno di Asclepio (2015) e nello straordinario paesaggio de La grande opera (2016), ispirato alla veduta tra i pilastri del podio per il trono della Vergine presente nella Pala di Santa Maria in Porto del 1481. Nella tela di Arrivabene una minuta figura è protagonista di un’epifania alchemica sullo sfondo di una città immaginaria, omaggio anche al genio dell’architetto Étienne-Louis Boullée.
A incipit dell’esposizione è posto, inoltre, un imponente nuovo dipinto, Erotomachia infera (2023), realizzato nell’ambito di un ciclo sull’opera dantesca, di cui rappresenta un punto di snodo: la vicenda di Paolo e Francesca è restituita in una visione simbolica tra ambiente ultraterreno e carnalità di corpi. Fa da contraltare al quadro, in posizione a specchio sul fondo delle sale, l’esoterico autoritratto Lucifero del 1997, nel quale il volto dell’artista si risolve in un nero profondo, mostrando come l’intensità d’ispirazione, la cura per il dettaglio e la capacità compositiva ne accompagnino la produzione dagli Anni Ottanta a oggi.
La sperimentazione di Arrivabene a partire dall’antico
Thesauros attraversa, in quaranta opere, i momenti chiave della carriera di Arrivabene, in un allestimento di ampio respiro che consente una dialettica tra alcuni dei dipinti più significativi realizzati dall’artista: dalla giovanile pala La custode dei destini (1985), agli emblematici I sette giorni di Orfeo e Atena, entrambi del 1996, fino a Le mosche d’oro (2014). Scrive Sgarbi nel suo testo in catalogo: “Di tutti i pittori figurativi delle ultime generazioni, dalla fine degli Anni Settanta a oggi, appartenenti a diversi gruppi, Enzo Cucchi, Wainer Vaccari, Lino Frongia, Stefano Di Stasio, ammirevoli per l’esercizio e la tecnica spesso maturata sullo studio degli antichi, il più eccentrico, il più originale, il più sperimentale è certamente Agostino Arrivabene”.
Non mancano esempi dell’eclettismo e della ricerca su materiali e tecniche, sempre con il fine ultimo di raggiungere un grado superiore di sublimazione e di bellezza, come nelle germinazioni di Homo novus – Opus magnum (2018), nell’uso quasi astratto di bianchi e grigi di Lossia. Il dio obliquo (2022), e nell’encausto su legno pietrificato di Vergine fossile (2020). Uno accanto all’altro, i dipinti sono posti come i tesori che, nell’antichità greca, erano raccolti quali doni votivi agli dei e testimoniano quanto l’urgenza artistica sia per Arrivabene unico e radicale gesto d’amore verso il divino.
Silvia Scaravaggi
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