La 13esima biennale di Taipei. Mediare il rapporto con la tecnologia è possibile?
È la domanda attorno a cui ruota la nuova edizione della rassegna che promuove l’arte contemporanea in Taiwan. Ne abbiamo parlato con la curatrice
Dal 18 novembre 2023 al 24 marzo 2024, il Taipei Fine Arts Museum ospiterà la 13. edizione della Taipei Biennial, rassegna nata con l’obiettivo di promuovere l’arte contemporanea del Taiwan a livello internazionale. Freya Chou, curatrice capo, ci anticipa le linee guida di una manifestazione – quest’anno attorno al tema Small World – che guarda alla dimensione dello spazio intimo per staccarsi dall’indigestione tecnologica e capire se la nostra società ha ancora la capacità di creare della poesia.
A cosa si riferisce il titolo Small World?
Small World indaga il potere del piccolo e del raccolto, nel districarsi dai grandi sistemi e vivere il tempo e lo spazio con maggiore intimità. Ci interessano i luoghi in cui la vita quotidiana incrocia le moderne situazioni iper-performative. Durante la pandemia, molte persone in India hanno visto l’Himalaya per la prima volta da decenni. Nessuno si era reso conto fino ad allora di quanto l’inquinamento si fosse aggravato al punto da rendere impossibile vedere cosa c’è proprio davanti a noi. Molte relazioni e mezzi di sussistenza, amici e persone care sono andate perdute in quello strano periodo, durante il quale si è però svolta anche una profonda riflessione sul significato e sull’importanza dello spazio che abitiamo fisicamente ogni giorno. Abbiamo visto che la nostra vita privata è spesso regolata dall’invadente presenza della tecnologia, ma anche che il bisogno di portare quella stessa tecnologia nei nostri spazi intimi è sensibilmente aumentato. Ciò ha generato nuovi livelli di tensioni e contraddizioni. Gran parte del nostro ragionamento nel costruire la Biennale si è orientato su questa domanda cruciale: come sarà possibile sostenere e continuare a condividere il tempo e la tecnologia in costante accelerazione? Come facciamo a guadagnare tempo senza perdere tempo?
Come avete selezionato gli artisti?
Ho lavorato a stretto contatto con Brian Kuan Wood e Reem Shadid, del team curatoriale. Abbiamo avuto intensi incontri settimanali per discutere le opere degli artisti che ognuno di noi ha proposto a seguito della propria ricerca. È un processo che ha richiesto molto tempo, ma riteniamo che sia importante investire e impegnarsi in questo periodo, perché spesso, specialmente in rassegne sempre più simili a festival, non hai il lusso di esporre le tue idee e discutere il lavoro degli artisti in maniera accurata. Ci siamo quindi concentrati su una selezione di autori che potessero partecipare con nuove opere appositamente commissionate, e abbiamo quindi lavorato fianco a fianco con loro. Molti di questi artisti lavorano tra scala estremamente piccola ed estremamente grande, chiedendosi come le tensioni che si generano fra questi due estremi si innalzino, risuonino e infine decadano.
Avete sviluppato anche eventi e programmi speciali per gli studenti e in generale per il pubblico più giovane?
Sì, ci saranno una serie di programmi pubblici per creare connessioni con il pubblico. Uno degli elementi importanti della biennale è usare la musica come chiave di lettura. Stiamo lavorando con un gruppo di musicisti e professionisti del suono per sviluppare programmi attraverso jamming session, conferenze, workshop, proiezioni di film. Incoraggiamo gli artisti a utilizzare e occupare lo spazio espositivo e invitiamo il pubblico ad ascoltare, partecipare e uscire. Vogliamo che la Biennale sia un luogo di aggregazione, uno spazio sociale che sia accogliente non solo per i giovani visitatori, ma anche per quelli più anziani.
Cosa pensi della scena artistica contemporanea di Taiwan?
Taiwan ha un ecosistema artistico unico che da tempo si impegna a guidare lo sviluppo dell’arte contemporanea locale. La scena artistica è una piattaforma per dare voce alla complessità sociale e alla storia intricata dell’identità di Taiwan, e inoltre è dinamica, paradossale e stimolante allo stesso tempo. In questa edizione della Biennale, vogliamo anche mostrare la pluralità delle voci di diverse generazioni di artisti taiwanesi, che si occupano di vari argomenti. A Lai Chi Sheng abbiamo commissionato interventi in situ che stravolgono la percezione della fisica e dell’architettura; abbiamo anche artisti della generazione degli anni Ottanta, come Yang Chi Chuan e Li Yi Fan. Il lavoro di Yang esprime una qualità narrativa avvolgente e accattivante che coinvolge gli spettatori per riflettere su domande riguardanti la vita, storie intime familiari, memorie e persino gli ambienti urbani in cui si vive; Li è invece un artista emergente che utilizza abilmente l’arte digitale per creare opere dal carattere di meta-narrazioni.
Pensi che l’arte possa contribuire al miglioramento dei rapporti fra Taiwan e la Cina?
Credo che l’essenza dell’arte sia quella di guidarci e farci crescere, nonché aiutarci a sviluppare un senso di chiarezza rispetto alla complessa realtà in cui viviamo. Qualsiasi forma d’arte o qualsiasi tipo di mostra dovrebbe riguardare la creazione di uno spazio per la conversazione e il dialogo, per aprire nuovi orizzonti su complicate questioni sociali che tendono invece a essere semplificate dalla manipolazione politica. Non credo che l’arte abbia un potere così forte di cambiare le problematiche storiche, ma è uno degli strumenti che possiamo usare per creare un luogo in cui le persone imparino ad apprezzare le differenze, a comprendersi, a riconciliarsi e, si spera, a raffreddare i conflitti e le tensioni accumulati a causa dell’incomprensione.
Niccolò Lucarelli
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