Biennale di Lubiana 2023: una finestra sull’Africa e sul Sud del mondo
A curare la mostra quest’anno è l’artista ghanese che ha rappresentato il suo paese alla Biennale di Venezia nel 2019. Dedicata alla grafica contemporanea è quest’anno un importante osservatorio sull’arte del Sud del mondo
Gemellata quest’anno con il Survival Kit di Riga, dove si parla di relazioni fra l’Europa dell’Est e il Sud del mondo, anche la 35a edizione della Biennale di Arti Grafiche di Lubiana, il cui team curatoriale è diretto dall’artista Ibrahim Mahama, s’interroga sull’eredità di quella stagione di dialogo. Arte grafica tradizionale, ma anche videografica e dispositivi audio, mostrano il percorso di crescita anche tecnologico della stampa e dell’incisione.
Una finestra su Africa e paesi emergenti
La Biennale di Lubiana 2023, From the void came gifts of cosmos, s’interroga su quale sia l’eredità, oggi, della passata collaborazione fra i Paesi dell’area sovietica, il blocco dei non Allineati, l’Asia e l’Africa, focalizzandosi in particolare su come lo spirito indipendentista afro-asiatico sia emerso a livello di infrastrutture e progresso culturale, all’interno della collaborazione e del dialogo con il mondo sovietico e quello ex-jugoslavo, ed è interessante notare come l’assenza di un passato coloniale mettesse tutti sullo stesso piano. Cosa che non poteva accadere a ovest.
Cukrarna, un ex complesso industriale per la produzione dello zucchero, ospita la mostra principale della Biennale: molto colorata e piacevole nell’allestimento assai dinamico, consta principalmente di opere di grafica concepite sul modello dell’installazione, così come a Riga sono esposte installazioni documentarie.
A Lubiana la ricerca si svolge principalmente sul piano sociopolitico: ad esempio, il kuwaitiano Ala Younis, in High Dam ripercorre la storia della diga di Assuan in Egitto, costruita negli anni ’60 grazie alla collaborazione di Mosca, un progetto che alterò il paesaggio lungo quel tratto di Nilo (anche con lo spostamento dei templi di Abu Simbel) così come il microclima e l’assetto agricolo della zona. Danni simili a quelli creati dal centro culturale progettato da Zaha Hadid nella valle del Bou Regreg: la colata di cemento ha danneggiate le falde acquifere e inaridito il suolo: ne parla Yasmina Benabderrahmane nell’installazione audio-video La Bête (La Bestia), che mostra l’impossibile dialogo fra la natura, la comunità e il cemento.
Biennale di Lubiana: la memoria della Resistenza
Un’altra (informale) sezione della mostra è dedicata ai movimenti popolari, più o meno organizzati, che hanno combattuto per la libertà, i diritti, l’indipendenza, dall’Africa all’Asia. L’egiziana Jihan El Tahri, nell’installazione Threading Solidarity – composta da una pluralità di stampe su seta, cotone, juta, ma anche fotografie, audio e video – ricerca quei fili visibili e invisibili, che supportarono movimenti come il Panarabismo o i Paesi non allineati; Tito, Nasser, Nehru si affiancano alla narrazione di lotte popolari come quella per la libera lavorazione del cotone in Egitto e India. Ugualmente caleidoscopica There is no end, del franco-algerino Nabil Djedouani, dedicata a Mohamed Boudia e Nicolaus Husseini, due figure della resistenza anticoloniale transnazionale. Un’installazione toccate, perché giunge all’estrema frontiera della solidarietà culturale e sociale fra popoli oppressi, quella della lotta armata. Con la sopracitata, si tratta della parte concettualmente più interessante della mostra, sia per l’accostamento di tecniche grafiche diverse, sia per la documentazione di alcune delle tante lotte che hanno agitato il Sud del mondo.
La Biennale come archivio
Con la prima edizione tenutasi nel 1955, la Biennale vanta un’ormai lunga storia e un ampio archivio. La sede centrale della rassegna, nel Tivoli Grad, ospita una mostra d’archivio che indaga i rapporti fra mondo socialista e Paesi africani fra gli anni ’50 e ’80; a Lubiana si osserva come la Biennale fosse, già nel 1955, uno dei pochi luoghi culturali europei aperti all’arte africana e asiatica, con una visione artistica più aperta e avanzata rispetto all’Europa Occidentale. La mostra retrospettiva Friendships and affinities ripercorre la storia della stampa artistica in Asia e Africa, ma soprattutto rivela le tracce di quelle traiettorie culturali transnazionali fra la Biennale e il sud del mondo costruite già nei decenni passati, che hanno fatto di Lubiana un laboratorio all’avanguardia per il dialogo con le culture del “Sud”. E oggi che l’arte è vista come un potente strumento di decolonizzazione, è interessante notare come già cinquanta o sessanta anni fa, a Lubiana si lavorasse in questa direzione.
Il folklore lituano cui si ispira Aldona Skirutytė in My little lakes (1966) incontra quello di Sadik Kwaish Alfraji, che in Elegiac 1 (1986) intercetta motivi da manoscritti e talismani iracheni. Radici sorprendentemente comuni così come la vicinanza estetica di gusto modernista. Le stampe colorate su seta dell’egiziano Mehdat Nasr Ali ricordano i collages cubisti, mentre le acqueforti a puntasecca dell’estone Marje Üksine dedicate alla figura della donna nell’URSS degli anni ’70, rivelano atmosfere che ricordano le miniature indiane antiche, pur rilette in chiave modernista. Esempi da cui si evince la continuità del dialogo fra gli artisti dell’area sovietica e quelli di Asia e Africa, ma anche la curiosità verso le correnti artistiche occidentali.
Lo spazio Krater
Nella prima periferia di Lubiana sorge Krater, un’area verde dismessa, su cui sorgono splendidi castagni che datano all’epoca di Maria Teresa, purtroppo (ma forse non casualmente) non censiti fra il patrimonio nazionale. Questo fa sì che l’intera area demaniale, per adesso in concessione gratuita all’associazione culturale Kolektiv Krater, sia presto destinata all’edificazione di nuovi palazzi, come del resto quasi tutte le aree circostanti. La cementificazione eccessiva è un rischio cui la periferia della città sta andando incontro, per questo le associazioni culturali si stanno battendo per preservare almeno quest’area, dove si trovano arnie e piccoli vivai per la biodiversità, e dove si tengono laboratori per gli alunni della scuola primaria e secondaria. In segno di solidarietà al Kolektiv Krater e per sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica sull’importanza di quest’area verde, la Biennale ha deciso di tenere qui i suoi laboratori creativi, diretti fra gli altri da Danilo Milovanović. Perché la cultura non è soltanto un insieme di nozioni, ma anche e soprattutto una pratica di vita che ne migliora la qualità a 360 gradi.
Niccolò Lucarelli
https://bienale.si/en/
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