Estetica dei concerti di Liberato. A Napoli uno show sinestetico
Non è un neomelodico, non fa trap, non è omologato e inglobato nell'iperproduzione di musica che investe Napoli. Lui è Liberato: un caso a parte
La più grande piazza della città, un palcoscenico immenso con una superficie di 50×25 metri, 300mq tra schermi e superfici proiettabili, macchine sparafiamme, fuochi d’artificio da far invidia al Capodanno, un impianto audio al limite della legalità. Già questo fa comprendere come lo spettacolo/concerto di Liberato in Piazza del Plebiscito a Napoli (16, 17 e 18 settembre scorsi) sia stato pensato e progettato con l’idea di proporre al pubblico uno show sinestetico. Più di 70mila persone in una tre giorni da passaparola, per una sinestesia durata due ore in cui tutti e cinque i sensi compartecipano a un’esperienza immersiva, e a tratti ipnotica, fin dall’apertura: le sirene, il sound di Guagliò mandato a loop, le proiezioni in bianco e nero tra spirali e raggiere con effetto strobo. Sei minuti di intro con intermittenze di luce bianca intenta a indurre uno stato di trance, di estasi o di ipnosi fotosensibile, mentre il crescente jungle beat trasforma subito la piazza nel più grande rave napoletano.
Lighting design, proiezioni, giochi pirotecnici: il concerto di Liberato a Napoli
Il velatino su cui la maestria di Martino Cerati e Quiet Ensamble ha dato vita alla magia ha visto l’alternarsi di figure geometriche piane e di forme mutevoli in 3D, restituendo al pubblico una visione/apparizione sicuramente più familiare ai fruitori degli spazi teatrali, con il palesarsi e lo sparire improvviso e repentino dell’artista e del suo gruppo, ottenuti alternando la proiezione frontale alla retroilluminazione. Apparizione/sparizione, astratto/reale, spaesamento/riconoscimento: nel gioco del donarsi e del sottrarsi Liberato architetta con un team di professionisti uno show efficace e di altissimo profilo in grado di sedurre e conquistare anche chi la sua musica non l’ascolta.
L’estetica che gioca, e vince, con l’immaginario collettivo
Si potrebbe parlare di Estetica nella sua accezione filosofica, con riferimento a tutto ciò che non è definibile secondo parametri certi e oggettivamente logici, ma che riguarda una dimensione sentimentale e soggettiva, trasposta sul piano universale. Per farla breve, nessuno può restare impassibile dinnanzi a uno spettacolo così concepito, che va a stimolare gli organi di senso in maniera primordiale, sollecitando lo stupore, la sorpresa, l’inaspettato. Liberato agisce a un’altezza da terra di almeno 8 metri, difficilmente assume posizioni frontali, se non per incitare il pubblico, predilige una postura laterale in un affondo quasi da schermidore in attacco. Deve giocare con le silhouette, lui che si esibisce in retroilluminazione costante: vestito da samurai avveniristico, crea continui ossimori e contraddizioni tipiche del suo genere musicale e della sua scrittura. La chitarra elettrica su 9 maggio e la tammorra in Cicerenella, la musica tecno con le danze popolari, i ritornelli nel più stretto dialetto napoletano con la breakdance. Dieci sono le danzatrici e i danzatori diretti dalla coreografa Marianna Moccia, che vivono il crescendo degli ultimi 20 minuti di spettacolo insieme a un pubblico sovraeccitato. Musica elettronica e danza contemporanea, versi dialettali e locking, climax musicale e violente cadute al suolo. A coronare un prodotto artistico assolutamente riuscito ci pensano i decibel dell’impianto audio, con un sub che fa vibrare inverosimilmente il petto e drizzare i peli sulle braccia, oltre alle scritte evocative che incitano alla libertà e a cogliere l’attimo (Chiav’, Baise qqun dans la bouche, Carpe Diem).
Liberato è un caso a parte. In un connubio tra modi di dire partenopei, intercalari english, influenze da house club Anni ’90, colto-pop quasi radical chic. Avanguardia musicale che suscita emozioni adolescenziali.
Manuela Barbato
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