Cecily Brown in mostra a Firenze tra Michelangelo, impressionismo e forme del presente
Tra le opere in mostra spiccano le tele di dimensioni grandi, dove l’effetto generato dal vortice cromatico crea un senso di vertigine visiva
Il percorso per raggiungere il Camerino di Bianca Cappello è tortuoso, tra saloni, logge e terrazzini, decorati con fregi, stucchi, affreschi, tappezzerie e carte geografiche che testimoniano l’austero, pietroso e solido potere dei Medici nella loro residenza più antica, Palazzo Vecchio. In questo immenso e labirintico edificio la piccola stanza rettangolare destinata alla vita intima della seconda moglie del granduca di Toscana Francesco I de’ Medici, donna raffinata ed elegante, appare come una sorta di oasi segreta, dalla quale Bianca poteva osservare l’intensa attività politica che si svolgeva nel sottostante Salone dei Cinquecento nella seconda metà del Sedicesimo secolo, attraverso un piccolo oblò ovale protetto da una grata.
La mostra di Cecily Brown a Firenze
In questo appartato ambiente, dalla volta decorata con grottesche e scene mitologiche legate al mondo femminile, come le Tre Grazie, Leda e il Cigno e Perseo e Andromeda, l’artista britannica Cecily Brown (Londra, 1969) ha posizionato il dipinto Body with vulva (2023), che raffigura una donna nuda distesa su un letto con i genitali in bella vista, tratteggiata da pennellate vorticose. L’opera, tutta giocata sugli accordi tra bianchi, rosa e ocra, strizza l’occhio ai capolavori di Courbet, Manet e Toulouse-Lautrec, in una sorta di celebrazione del potere seduttivo femminile, esercitato tra salotti e boudoirs invece di tornei, duelli e battaglie militari. Con questo raffinato elogio degli intrighi di corte si apre idealmente la mostra personale di Cecily Brown Temptations, Torments, Trials and Tribulations, curata da Sergio Risaliti nel Camerino di Palazzo Vecchio e al Museo del Novecento, dove sono esposte trenta opere, tra dipinti e opere su carta, dedicate ad un tema religioso che da una decina d’anni interessa Cecily: le Tentazioni di Sant’Antonio.
La lezione di Michelangelo Buonarroti
Un soggetto prediletto da molti artisti del Rinascimento, tra i quali il giovane Michelangelo, che si sarebbe confrontato – secondo il Vasari – con un’incisione con lo stesso soggetto del tedesco Martin Shongauer (1448-1491). Secondo la leggenda, per imitare le squame delle zampe dei demoni, il giovane Buonarroti sarebbe andato tra i banchi del mercato di San Lorenzo a comprare dei pesci. Il risultato sarebbe un piccolo dipinto databile tra il 1487 e l’89, oggi conservato al Kimbell Art Museum di Forth Worth, nel Texas, ma nella cappella del museo del Novecento è esposta un’altra versione del dipinto, proveniente da una collezione privata ed eseguita nella seconda metà del Cinquecento da un anonimo pittore fiammingo, dove compaiono alcuni dettagli, individuati da Risaliti, di evidente matrice michelangiolesca.
Quest’opera ha ispirato le “abstract narratives” di Brown, dove i confini tra astrazione e figurazione sono molto labili, ed affidati alle combinazioni cromatiche “in cui-spiega il curatore-pennellate vorticose generano un caos ordinato, che dissolve i confini temporali e spaziali e trasmette a poco a poco un inaspettato senso di armonia e sottile sensualità.” Tra le opere in mostra spiccano le tele di dimensioni grandi, dove l’effetto generato dal vortice cromatico crea un senso di vertigine visiva, che in alcune opere raggiunge suggestioni quasi neobarocche, secondo le intenzioni dell’artista, sostenuta dalla galleria Thomas Dane, divisa tra Londra e Napoli. “Nel momento in cui c’è un’immagine chiara la mente si assesta. E io non voglio che si stabilizzi. Mi piacciono l’inquietudine, l’apertura e l’ambiguità che ci sono quando c’è un continuo cambiamento in corso” spiega l’artista, protagonista di una mostra da non mancare.
Ludovico Pratesi
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