Paris Fashion Week. Il reportage dalle sfilate a Parigi: ecco la donna della prossima stagione
Si parla di vita quotidiana, eppure la moda di Parigi era anche sognante. Così la donna della prossima stagione diventa più pragmatica. E si pone tante, tantissime domande. Il racconto dalle passerelle della capitale francese
Dopo Milano, arriva Parigi con la sua settimana della moda. Rispetto al capoluogo lombardo, dove regna la praticità anche nelle scelte di stile, qui c’è sempre più spazio per i sogni e i tentativi. Questa stagione, però, la capitale francese ha abbracciato in maniera più decisiva la quotidianità, che il mercato richiede a causa di condizioni economiche non favorevoli all’acquisto di capi “folli” da indossare una sera o mai più. Eppure la risposta degli stilisti non è stata univoca, dividendosi in schieramenti creativi proprio come accaduto alla Milano Fashion Week.
Paris Fashion Week. La metacognizione secondo Balenciaga
Balenciaga, ad esempio, in un momento critico a causa dello scandalo che coinvolse il direttore creativo Demna circa un anno fa, ha preferito ripercorre i propri passi. Mica quelli che riconducono al couturier Cristobal Balenciaga: la collezione Primavera Estate 2024 è stato piuttosto un esercizio di ricerca di se stessi e di una pace col pubblico, lo stesso che ha reso la maison apprezzata, chiacchierata e, ovviamente, acquistata. Ma anche lo stesso che ne ha cambiato le sorti. In passerella hanno sfilato amici, comuni o vip, e parenti dello stilista, mostrando a tutti la sua parte più vulnerabile. Come se avesse chiesto nuovamente scusa cedendo le proprie fragilità nelle mani delle persone più spietate. E gli abiti, tra giacche cucite su altre giacche, abiti da sera classicheggianti in pizzo e cappotti over al quadrato, sono passati in secondo piano forse perché simili alle stagioni precedenti.
Paris Fashion Week. La metacognizione secondo Alexander McQueen
I propri passi li ha ripercossi pure Sarah Burton nella sua ultima collezione da Alexander McQueen, dopo 26 anni in azienda e 13 come direttrice creativa. A volte il suo percorso è combaciato con quello dell’omonimo fondatore, o perlomeno era quella l’intenzione mantenendo una certa attenzione alla struttura degli abiti: dai corpetti metallici a giacche sfiancate, motivi floreali che diventano balze esplosive e decori in rilievo che ricordano tanto l’architettura (dell’abito). Adesso però non è più il momento di Sarah, perché è stato nominato Seàn McGirr, suo giovane successore.
Paris Fashion Week. La metacognizione secondo Maison Margiela
Anche John Galliano da Maison Margiela riflette sul suo operato, ma da Dior. Ritorna infatti una teatralità che sì, Margiela metteva in pratica, ma non alla Galliano maniera. Così cappelli dal sapore asiatico, stringate che diventano col tacco, gonne ampie e voluminose, piume e guanti da opera vengono farciti da camminate incalzanti e vere espressioni facciali. Poi c’è spazio per le scarpe Tabi, le tinte-non-tinte, i tessuti alternativi e l’androginia, che definisce una moda femminile ma al contempo maschile, e viceversa. Allora, forse, è stata ripresa la storia di entrambi, sia dello stilista sia della maison.
Paris Fashion Week. Il divertimento di Marni e Rick Owens
Arriva poi il divertimento in passerella. Marni gioca gonfiando gonne e pantaloni, scegliendo tonalità aranciate e trame all’Arlecchino, preferendo la moda alla vita quotidiana, come solo un flaneur sa fare. E un po’ il brand, insieme al direttore creativo Francesco Risso, flaneur lo è perché girovaga per il mondo con un progetto che prevede sfilate in posti sempre diversi. Ma per divertimento si intende anche speranza, che contrasta la noia dell’eccessivo pragmatismo. Allora libero spazio a colori veri, su vestiti o nell’aria, trascinati verso la realtà da tonalità neutre o scure, abiti al limite del gotico, scarpe ortopediche e veli non più tali: questo ha proposto Rick Owens, affermando di non temere le cose ma di farlo allo stesso tempo.
Paris Fashion Week. La quotidianità di Valentino, Acne Studios e Miu Miu
C’è spazio anche per la quotidianità, seppur nei limiti del fashion system. Valentino pensa a una donna che possa affrontare tutte le fasi della giornata e della vita al fianco del brand, affinché non rinunci ad abiti architettonici e a giacche e pantaloni in denim accompagnate da sandali a vista. Acne Studios invece parla di uno stile industriale che sta tutto nella liberazione dopo l’orario di lavoro. In quel momento la donna si abbandona ad abiti lunghi che fluttuano seppur blu elettrici e rossi, altri in versione mini, giarrettiere bianche in vista così come l’intimo, senza abbandonare i tanto cari jeans. Il marchio si è servito contemporaneamente degli arredi dell’artista austriaco Lukas Gschwandtner per ammorbidire il suo spirito industriale e dell’opera “Physical Evidence of a Woman” dell’artista britannica Katerina Jebb, che pervade la collezione per enfatizzarne il messaggio. Miu Miu abbandona la città perché non vuole pensare al lavoro, dedicandosi quasi del tutto al mare. Difatti tra i completi, le polo e le camicette sbucano costumi coloratissimi nella loro semplicità; i mocassini da barca non temono i sandali accessoriati di piccoli cerotti colorati; le borse si riempiono di tutto il possibile, come quando si corre in spiaggia, e le gonne si allungano e si accorciano fino a dove è possibile, mantenendo la vita bassissima come nel 2005. E Louis Vuitton? Questa volta parla di vita di tutti i giorni attraverso gonnelloni e camicioni attutiti da cinture spesse e resi riconoscibili da trame cangianti. Compaiono in seconda battuta felpe e corpetti, caban aristocratici e giacche sfrangiate ma imbottite sulle spalle. Sai che noia non far irrompere qualche velleità nobiliare d’altri tempi in quell’insieme di contemporaneità.
Paris Fashion Week. Il (necessario?) ritorno alla realtà di Dior
Ma attenzione: a dettare l’abbandono dei sogni tipici di Parigi, e spesso atipici della moda milanese, è Dior di Maria Grazia Chiuri. Il tema della Primavera Estate 2024 sono le streghe, e di conseguenza la misoginia riletta attraverso l’installazione digitale dell’artista Elena Bellantoni, un progetto di videoarte intitolato “Not Her” che ha svelato gli stereotipi purtroppo presenti nella cultura corrente attraverso le immagini sessiste delle pubblicità della seconda parte del Novecento. E gli abiti di Chiuri hanno cercato di parlare di questo riappropriandosi di alcuni indumenti ritenuti maschili, usandone altri generalmente femminili e mettendo a nudo il corpo. Così avrebbe riflettuto su passato e presente, streghe e moda femminile. Ma forse è nei sogni poi resi vestiti, proprio quelli abbandonati da molti che abitano e frequentano la loro capitale nel settore moda, che possiamo trovare noi tutti la risposta ai problemi, non solo di stile.
Giulio Solfrizzi
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