Essere gallerista oggi. Intervista a Stefania Margiacchi di Société Interludio a Torino

La galleria d’arte contemporanea dev’essere luogo di condivisione, ricerca, sperimentazione e cura. È questa l’idea della gallerista toscana di stanza a Torino, prossima a inaugurare un secondo spazio appena fuori città

Credo sia il tempo di osare, uscire dagli schemi, fare le mostre “impossibili”, non guardare solo o soprattutto al mercato ma al fare cultura”. Stefania Margiacchi (Siena, 1990) racconta il suo spazio torinese, Société Interludio, galleria d’arte contemporanea le cui mostre sono co-curate con Allegra Fantini, suo braccio destro. E se il termine “società” è chiaro, interludio è più complesso da comprendere. In musica è una sorta di “intervallo melodico” traghettatore da un brano all’altro, ma nell’arte e, in particolare nel mercato attuale, di cosa si tratta? La risposta in questa intervista alla gallerista toscana, ex-buyer nel campo della moda e ora ricercatrice di talenti e punto di riferimento per il sistema dell’arte. Per fare cultura.

Stefania Margiacchi e Allegra Fantini. Photo Claudio Asmarandei
Stefania Margiacchi e Allegra Fantini. Photo Claudio Asmarandei

Intervista a Stefania Margiacchi

Perché Société Interludio?
Société Interludio nasce da un atto d’amore, come posto per dare forma a una visione, casa come luogo d’appartenenza, domicilio per una famiglia scelta. È un desiderio che si è plasmato e modificato col tempo, muovendosi e adattandosi agli imprevisti e ai fallimenti. 
Nasce nel 2018 da un’idea mia e dell’artista Paul de Flers, prende il nome durante un aperitivo in piazza Carlina a Torino in quello che era allora Société Lutèce. Lo spazio apre ufficialmente al pubblico il 25 ottobre ‘18 con una collettiva di artisti emergenti e mid career (Giulio Saverio Rossi, Paolo Inverni e Sophie Ko) e la volontà di collaborare con i colleghi che rappresentavano gli artisti invitati. Dal 2020 porto avanti il progetto con l’ausilio di un gruppo scelto di menti “aristocratiche” che costantemente mi aiutano a chiarire i pensieri, le idee, le visioni. 

Hai lavorato nel campo della moda per lungo tempo: quale pensi sia il legame, se c’è, tra i due settori?
Moda e arte sono state per me due strade parallele che hanno segnato la mia formazione e il mio gusto. Si sono influenzate sicuramente a vicenda, una ha dato un metodo di lavoro all’altra e, contestualmente, la seconda ha dato una dimensione poetica alla prima.  

Ora avete inaugurato Desiderio: Preludio, una collettiva che raggruppa, tra gli altri, degli artisti che avete avuto già in mostra in passato: ce la racconti?
Desiderio: Preludio è un progetto che avevo in mente forse da che ho memoria. Sono cresciuta con le immagini dei cieli stellati negli occhi, la mia piccola collezione d’arte ha come filo conduttore il tema del desiderio, partendo da quello dell’Altrove (che ha come simbolo proprio la stella). Nel 2017, la prima mostra che vidi a Torino fu la personale Shade di Andrew Dadson da Franco Noero, la prima mostra che ho curato da direttrice artistica del centro d’arte contemporanea Spaziosiena si chiamava Piani sulla Cometa ed era un primo tentativo di dar vita a un immaginario germinale che da sempre mi appartiene. Le insonnie di Agathe Rosa, la cometa di Gianni Caravaggio nel 2018 a Spaziosiena, l’affresco di una cappella di famiglia con un cielo stellato di Davide Mancini Zanchi nel 2020, le costellazioni nate all’oscuramento delle parole di Francesco Carone: è tutto collegato, è un percorso per immagini che è sempre esistito, che qui prende forma.

Un progetto meditato e costruito sul lungo periodo…
Per me Desiderio è una mostra, ma anche un progetto a tappe. Un manifesto di quello che per me è essere gallerista oggi: il progetto espositivo, nato in pandemia e sviluppato negli anni, coinvolge attraverso una visione curatoriale diverse realtà, avviando in questo modo un dialogo con le gallerie, le opere e gli artisti di diverse generazioni. In questa occasione Société Interludio conferma la propria identità collaborativa, che ripensa la galleria d’arte contemporanea come luogo di condivisione, ricerca, sperimentazione e cura.

Société Interludio. Photo Claudio Asmarandei
Société Interludio. Photo Claudio Asmarandei

Il rapporto tra gallerista e artisti

Quali sono gli aspetti che cercate in un artista, cosa deve colpirvi in particolare?
L’onestà della ricerca e del lavoro.

È per questo che con alcuni riuscite a stringere rapporti duraturi?
L’onestà di cui parlo sopra è onestà intellettuale e formale, è il rispetto che l’opera ha verso l’artista e verso il fruitore. Non è mimesi o posa ma è un frammento di verità. Non mi interessa il “bello” o il “brutto”. Se l’opera è onesta lo sarà anche l’artista, dunque ogni scambio sarà mosso da un’etica del lavoro che trascende la forma, la moda e il mercato.

Vorreste sperimentare anche la scultura: cosa vi attrae della tecnica?
La galleria nasce con una predominante attenzione alla pratica pittorica, sia per affinità elettiva che per competenza culturale. Ciò nonostante siamo sempre stati attratti da altri media, come la scultura e l’installazione, appunto. Questi primi cinque anni (per quanto rallentati nello studio e nell’esperienza a causa della pandemia) ci hanno permesso di conoscere meglio i nostri limiti e cercare di superarli, investendo molto tempo nella ricerca e nello studio di pratiche che ci venivano meno “immediate”. Da questo punto di vista, il secondo spazio espositivo di Société Interludio (che si trova in una vecchia segheria del ‘900 a Cambiano, nella prima cintura di Torino), che ospiterà il secondo capitolo di Desiderio e che inaugurerà poco prima di Artissima, sarà un terreno di sperimentazione proprio e soprattutto per media quali la scultura e l’installazione che ci hanno sempre attratto ma che abbiamo sempre investigato non a sufficienza. 

Un punto di vista sulla contemporaneità? Siete una galleria tutto sommato giovane, qual è la vostra visione del mercato attuale?
Ci siamo dimenticati di essere esploratori, ci siamo chiusi in una comfort zone dove ci siamo accontentati ad essere meri custodi. Credo sia il tempo di osare, uscire dagli schemi, fare le mostre “impossibili”, non guardare solo o soprattutto al mercato ma al fare cultura. Non siamo solo mercanti, siamo operatori culturali e cultura dobbiamo tornare a fare, per quanto i tempi siano ostici. Dovremmo non temere e respingere la crisi ma anzi accoglierla perché, cito Einstein: “La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi Paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. La creatività nasce dall’ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura“.

Questanno sarete nuovamente ospiti ad Artissima 2023: differenze tra fiera e galleria?
Lo stand di quest’anno è stato pensato come un canto corale di cinque visioni centrifughe sul tema del “take care” che caratterizzano oggi la galleria. L’abbiamo studiato come se dovessimo allestire una piccola mostra, dove alcune delle opere si scoprono e si rivelano: una panoramica essenziale sulle archeologie di diversi luoghi e culture, universi marginali che stanno scomparendo ma che le diverse pratiche artistiche in questione tentano di salvaguardare, prendendosene cura attraverso la sublimazione poetica.

Ci sono altre novità in arrivo?
Presenteremo presto due cataloghi monografici sulla ricerca di Sebastiano Impellizzeri ed Enrico Tealdi (per il quale abbiamo lavorato assieme alla nostra collega e amica Francesca Antonini di Roma), lanceremo un progetto speciale sui multipli d’artista, volto ad avvicinare anche un pubblico diverso al mercato dell’arte contemporanea e, principalmente, continueremo a studiare tanto.

Ilaria Introzzi

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