Loredana Di Lillo, tra storia e memoria
Incontriamo Loredana Di Lillo che, di ritorno dalla sua residenza newyorchese presso l'ISCP è diventata subito protagonista in patria con la vittoria del Premio Cairo. Un’artista poliedrica ma estremamente coerente nella sua ricerca che, nel panorama italiano, mostra uno sguardo e un’attitudine non comune.
Nel tuo lavoro vedo chiara una tensione speculativa tesa tra memoria personale e storia. Come rapporti la tua ricerca con la tua memoria personale? Cerchi di dimenticare o di ricordare?
Non credo di aver mai posseduto una profonda memoria personale e tendo anche a pensare che descriverla o raccordarla potrebbe apparire irrilevante. Più che un rapporto con la mia memoria personale, penso di avere un rapporto stretto con le immagini legate al ricordo, qualcosa di evanescente, che improvvisamente diventa meno sfocato. A quel punto posso mettere insieme un colore verde della mia infanzia con il giallo paglierino di una farfalla Macaone; una brusca immagine con qualcosa che affiora a zig zag.
Non ho mai cercato di dimenticare e la parola ricordare risuonerebbe un po’ troppo nostalgica. Preferirei dire riportare, riscrivere o parlare di una certa ritenzione delle immagini. Qualcosa che va un po’ più in là del raccontino dei fatti miei, ma che è anche molto vicino alla storia intima di tutti noi.
Quando tu parli di tensione tra memoria personale e storia, io aggiungerei: una tentazione che il mio occhio ha nel cercare di riconciliare e documentare, una visione sfuggente tra sogno, arte e realtà.
La relazione tra memoria e storia è più dialogante o interlocutoria?
Esiste un ponte dove incontri la storia, la verità e la finzione. Tu puoi giocare con le diverse varianti.
La tua installazione SŰD sembra esemplificare questo equilibrio fra storia e memoria. Ciò che trovo particolarmente interessante è che non cerchi la strada semplice della narrazione di un racconto, ma mostri domande che poni prima a te stessa e poi al pubblico…
SŰD è un lavoro che dialoga con la storia del luogo, con il paesaggio e con il tempo della memoria, probabilmente anche un tempo che appartiene al tempo della modernità, alle sue utopie e fallimenti; ma potrebbe anche non dialogare mai e diventare parte entropica di una fessura allucinata della mente di un singolo individuo.
Naturalmente ci si chiederà: cosa ci fa una roulotte con arredi kitsch e un grande specchio in mezzo a un campo da golf nel profondo sud? Mi piace la tua interpretazione e credo che abbia colto molto bene le relazioni. SŰD, rappresenta anche una storia antica fatta di miseria e scoperta, evasione e riscatto. Il lavoro è un invito a riguardare una parte della storia dell’uomo con i più antichi bisogni.
Nei tuoi lavori Spazio Civile e Black and white Italian flag noto uno sguardo attento e allo stesso tempo partecipato alla storia italiana. Nel primo lavoro, con un’attenzione alla storia di lunga durata quella minima relativa al quotidiano del singolo, mentre nel secondo più attento alla storia effettiva quella dei grandi eventi. Cerchi un equilibrio fra queste due diverse visioni?
Odio gli equilibri, semplicemente qualcosa va per gradi nella mia mente, forse i miei disordini si allargano e così le mie tensioni prendono direzioni diverse, tra me e la storia; la mia bella Italia e il mondo.
Il primo lavoro (Spazio civile) è nato all’interno di un contesto ben specifico e parla di un elemento iniziale: la luce. Una grotta scavata dall’uomo, completamente dimenticata, adibita a deposito per attrezzi. Ho pensato che poteva essere bello riportare della luce lì dentro e molto in basso, ad altezza dei miei piedi. Ho ricordato una lezione di storia dell’arte dove si parlava di Giotto e dei suoi angeli terreni. Avevo in mente una visione sfuggente, tra una grotta delle meraviglie e un pollaio di lusso; così ho riportato e ho appeso un lampadario che continua a sfiorare il pavimento.
Black and white italian flag, invece, è un opera ingannatrice. È un lavoro che dialoga principalmente con il passato: è una scultura che cerca di far coincidere un tempo in bianco e nero con il desiderio e il fallimento; la bugia e gli aneliti di quell’Italia contadina e pre-moderna, descritta tanto da Pasolini. Forse, è anche un’opera “romantica”, come dice un mio amico artista americano.
Ci puoi descrivere il lavoro con cui hai vinto il Premio Cairo?
Double eye (Doppio occhio) è un lavoro distopico. È un ritratto che non intende recidere i legami con il passato, parla al presente e guarda il presente. È un ritratto femminile dallo sguardo doppio.
Maria Teresa Annarumma
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