Ecco chi era Mario Sasso. Videoartista e (anche) pittore
Noto per le sue sigle televisive al grande pubblico, le sue opere saranno esposte nella galleria PoliArt di Milano dal 21 ottobre al 25 novembre 2023. Un ritratto della curatrice Annalisa Filonzi
Nel breve tempo di un countdown, si è spento a Roma il 4 ottobre 2023 all’età di 88 anni Mario Sasso (Staffolo 1934 – Roma 2023), pittore e videoartista. Una vita di ricerca e sperimentazione lo ha reso noto al grande pubblico televisivo per aver portato nelle case di tutti gli italiani i segni dell’arte contemporanea attraverso le sigle di importanti trasmissioni come Non è mai troppo tardi, La notte della Repubblica, Viaggio nel sud, Videocomic, Storia di un italiano, le prime sigle in 3D del tg2 e del tg3, quest’ultima con musica di Brian Eno andata in onda fino a pochi anni fa, l’impaginazione di rete di Raisat di cui è stato anche art director, e innumerevoli altri interventi artistici che, in oltre quaranta anni di collaborazione con la Rai, sono diventati l’immaginario colto e impegnato della televisione pubblica di altri tempi.
La pittura di Mario Sasso
Meno nota la sua attività pittorica e video svolta parallelamente al lavoro di grafico in tv, con ricerche alimentatisi a vicenda, che gli ha fatto vincere prestigiosi premi internazionali quali la Nika d’oro al Festival di Arti elettroniche di Linz nel 1990, insieme al musicista Nicola Sani, primi italiani a ricevere questo riconoscimento, per il video Footprint che ha successivamento inaugurato anche le trasmissioni satellitari della Rai, ma anche il premio Guggenheim per la Torre delle trilogie, la partecipazione alla Biennale di Venezia sezione Video del 1986 e alla Quadriennale di Roma fino alla designazione a Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana da parte del Presidente Giorgio Napolitano. Un ruolo di precursore, non sempre riconosciuto e citato, per tutta una generazione più giovane che dei linguaggi elettronici hanno fatto la loro espressione quotidiana.
Difficile concentrare in un ricordo tutto ciò che Mario Sasso è stato come persona e come artista – fortunatamente è stato celebrato in vita in una giornata di studi nel febbraio 2019 dal museo Macro di Roma dai quattro studiosi che lo hanno seguito nella sua lunga carriera: Silvia Bordini, Dario Evola, Marco Maria Gazzano, la sottoscritta e l’artista Mariagrazia Pontorno – tanto più per me che, come curatrice, lo ho affiancato negli ultimi venti anni dalla mostra antologica della Rassegna Salvi di Sassoferrato del 2003 passando per la mostra di videoinstallazioni Dalla pittura all’elettronica al Museo di Arte Moderna di Mosca del 2008, per citare solo i due momenti più importanti, per quanto i ricordi personali si intrecciano ai ricordi professionali.
La mostra a Milano di Mario Sasso
La prima impressione è che sia morto giovane, nonostante l’età (d’altronde due 8 rovesciati sono due segni dell’infinito, come dicevamo scherzando, in pratica era in loop). Sempre vitale ed entusiasta, se ne è andato lavorando alla prossima mostra (le sue opere saranno esposte nella galleria PoliArt di Milano dal 21 ottobre al 25 novembre) e da anni stava progettando una grande esposizione nelle sue Marche che non è stata più realizzata, ma soprattutto riflettendo sull’evoluzione della sua ricerca sulla pittura digitale. Sui suoi ultimi pensieri voglio concentrare il mio ricordo. In Mario Sasso il digitale non è stato solo una tecnica, un mezzo, ma è divenuto linguaggio, in particolare un linguaggio pittorico, esplorato fin da quando è stato disponibile il primo strumento di rielaborazione delle immagini, il Paintbox della Quantel, nel video Gioconda al Paintbox del 1986, in cui l’artista ha utilizzato tutte le sfumature della tavolozza allora a disposizione immaginando che il famoso ritratto venisse ridipinto dai maggiori artisti della storia dell’arte.
“La pittura al computer” affermava in una delle ultime chiacchierate “ha il vantaggio di superare il dualismo astrazione-figurazione, attraverso le azioni di sovrapposizione delle immagini, la cancellazione, la deformazione”, permettendo così una sintesi da sempre cercata nelle sue opere spesso caratterizzate dall’astrazione dello stradario urbano. Anche il colore, pescato con il contagocce, dava all’artista la sensazione di lavorare con una tavolozza vera, che si intrecciava alle luci fredde e sature dei colori televisivi utilizzati per i video. L’idea di una pittura che non rimanesse confinata dentro uno schermo è da sempre stato il filo conduttore della sua ricerca: “nessuno aveva pensato di fare stampanti per il paintbox perché era uno strumento per modificare le immagini per la televisione, per il cinema, nessuno aveva pensato di farne un uso artistico”. Sasso ci pensò a partire dalla fine degli anni ‘80 quando iniziò a stampare i suoi quadri, dapprima in stampa fotografica cibachrome, poi con la stampa su tela degli scanachrome, quando ancora la tecnica non era disponibile in Italia, e poi infine con la stampa su pvc, il materiale delle comunicazioni pubblicitare che avvolgono le nostre città, dei Teli e dei Pacchi realizzati per la mostra di Mosca, su cui dapprima interviene ancora con il pennello per non rinunciare al gesto della pittura e poi, nell’ultimo ciclo, solo al computer. Anche le grandi video installazioni appartengono, se vogliamo, all’idea di fare uscire il video dal monitor per invadere lo spazio.
L’arte urbana secondo Mario Sasso
Un artista urbano è stato Mario Sasso, non solo perché il tema più esplorato è stato la città, come intreccio di vie e vite di chi la abita, ma anche perché, dipingendo come soggetto le strade, sfiorando i muri con la telecamera, ha precorso in qualche modo quegli artisti del graffitismo che, due generazioni più tardi, dipingono sui muri cogliendo le stesso dinamismo, gestualità, umori della città, con la sua stessa attenzione per il sociale.
Ciao Mario, artista senza tempo perché un solo tempo per te era possibile, il presente, sempre attento ad ogni novità tecnologica che potesse nutrire il suo linguaggio; è impossibile credere che non ci sei più, preferisco pensare che, con il tuo sorriso sempre incoraggiante, dall’analogico sei passato in digitale.
Annalisa Filonzi
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