Dalle Direzioni ai Dipartimenti. Ecco come si riorganizza il Ministero della Cultura
Abbandonato il criterio delle Direzioni Generali si passa alla presenza di quattro dipartimenti con nove aree funzionali. E l’arte contemporanea? Rischia di tornare ad essere il fanalino di coda
Dunque, si cambia. Con la legge 137 del 2023 (G.U. n° 236 del 9.10.2023), il Ministero della Cultura, abbandona l’organizzazione per Direzioni Generali per fare ricorso al modello dei Dipartimenti. Si passa cioè da 12 Direzioni Generali a 4 Dipartimenti con 9 aree funzionali ed un organico di 32 dirigenti. Nello specifico le 9 aree funzionali sono: tutela dei beni culturali; gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, degli istituti e dei luoghi della cultura; promozione dello spettacolo, delle attività cinematografiche, teatrali, musicali, di danza, circensi, dello spettacolo viaggiante, promozione delle produzioni cinematografiche, audiovisive, radiotelevisive e multimediali; promozione delle attività culturali; sostegno all’attività di associazioni, fondazioni, accademie e altre istituzioni culturali; studio, ricerca, innovazione ed alta formazione nelle materie di competenza; promozione del libro e sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali; tutela del patrimonio bibliografico; gestione e valorizzazione delle biblioteche nazionali; tutela del patrimonio archivistico; gestione e valorizzazione degli archivi statali; diritto d’autore e disciplina della proprietà letteraria; promozione delle imprese culturali e creative, della creatività contemporanea, della cultura urbanistica e architettonica e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali.
La riorganizzazione del Ministero della Cultura
Con il conferimento dei nuovi incarichi, decadono tutti gli attuali Direttori Generali. I Capi Dipartimento saranno di nomina fiduciaria del Ministro. Se questa riforma coinciderà con un ampio ricorso allo spoils system, lo verificheremo nelle prossime settimane. Ciò che vale la pena sottolineare è che, ad ogni tornata elettorale, i cambi al vertice dell’amministrazione pubblica, al centro come in periferia, sono entrati da tempo nel costume della politica italiana. Anche a discapito dei principi costituzionali che fanno riferimento alla competenza e all’imparzialità come criteri per la selezione della dirigenza pubblica. Nel nostro caso non ci troviamo ancora di fronte a nuove nomine quanto piuttosto ad una vera e propria riorganizzazione dell’assetto centrale del Ministero. E non è la prima volta. Anzi. Tuttavia, non si può escludere in via di principio che l’ammodernamento, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa passino anche attraverso una periodica revisione del modello organizzativo. Ma si dovrebbe spiegare. Nel caso della riforma del MIC c’è quindi un tema sostanziale su cui vale la pena soffermarsi. Le aree funzionali che sono state individuate sono finalizzate a politiche culturali che si intendono perseguire e quali sono? Quale è il disegno, la cornice entro cui si organizzeranno i 4 Dipartimenti? Quali aree funzionali saranno accorpate per dar luogo alla struttura dipartimentale? Ogni riforma, per essere efficace, comprensibile, e persino condivisa, andrebbe spiegata, motivata e resa comprensibile, non solo ai dipendenti ministeriali ma anche, nel nostro caso, a quel vasto mondo fatto di istituzioni culturali, imprese, organizzazioni che agiscono in relazione con le politiche ministeriali e con le strutture che le gestiscono.
Quale politica culturale? Sulla autonomia dei musei
Questo Governo, come i precedenti, sottolinea a più riprese la volontà di realizzare una discontinuità con il passato. In questa occasione ha perso una opportunità per dimostrare che le riforme si motivano e poi si fanno, perché non sono riconducibili solo ad una riorganizzazione della struttura amministrativa ma, nel nostro caso, devono corrispondere ad obiettivi manifesti di politica culturale che si intendono perseguire. Nel caso, ad esempio, del decreto ministeriale che ha portato i musei autonomi da 44 a 60, pur non trattandosi di una “riforma”, il Ministro Sangiuliano e il Sottosegretario Sgarbi, hanno sottolineato che l’autonomia assegnata ad alcuni grandi musei, permette una gestione più efficace e, soprattutto, consente di tutelare e valorizzare meglio le collezioni e i siti. In altri termini è evidente che si intende investire ancora sull’autonomia dei musei. Ora si può discutere se tutti i musei aggiunti hanno le caratteristiche di grandi siti culturali oppure evidenziare che le Direzioni regionali dei musei non dispongono ancora di risorse umane e finanziarie adeguate. Ciò che conta è che c’è una linea politica che si intende perseguire e viene esposta. Questa “buona pratica”, almeno per ora, non ha avuto un seguito.
Una riflessione conclusiva sulla riforma va dedicata all’area funzionale “promozione delle imprese culturali e creative, della creatività contemporanea, della cultura urbanistica e architettonica e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali”. Fino ad ora il MIC ha previsto una Direzione Generale dedicata alla Creatività Contemporanea.
L’arte contemporanea al Ministero
Poco personale, poche risorse, recentemente aumentate grazie ai contributi del PNRR per il sostegno ai settori culturali e creativi. Ciononostante, negli ultimi anni, la DG ha esplorato campi inediti, come la rigenerazione urbana a base culturale, ha sostenuto lo sviluppo dell’arte e dell’architettura contemporanea premiando giovani talenti, ha consolidato le relazioni con la rete dei musei del contemporaneo, ha valorizzato la fotografia, ha aperto un confronto con quel variegato mondo di imprese culturali e creative e organizzazioni del Terzo Settore che gestiscono spazi pubblici, un tempo abbandonati o chiusi, trasformandoli in luoghi di produzione culturale e di servizi alle comunità. Pur tra non poche difficoltà, la DG Creatività Contemporanea ha consentito al MIC di mantenere un filo con le innovazioni culturali e sociali diffuse in tutto il Paese. Il merito certo è dei dirigenti e dei funzionari della Direzione oltre che delle linee di indirizzo ministeriali. Ora è abbastanza improbabile che al Contemporaneo sia assegnato un Dipartimento. È più verosimile che sia accorpato a una o due diverse aree funzionali. Ma quali? E con quale grado di autonomia? Sarà assicurata una continuità alle politiche fin qui adottate, magari potenziandole e sostenendole con risorse adeguate? Se Governo e Parlamento, nelle prossime settimane, approveranno uno dei disegni di legge che finalmente disciplinano le imprese culturali e creative, il ruolo del MIC in questi settori sarà molto rilevante. Quale struttura se ne farà carico? Sono tutte domande legittime che esprimono una preoccupazione diffusa e cioè che la già scarsa attenzione per la Creatività Contemporanea sia ulteriormente affievolita. Vedremo nei prossimi mesi.
Ledo Prato
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