A Milano le mostre di Jimmy Nelson, il fotografo della bellezza indigena
Dal Tibet, all’Africa Centrale. Dagli Inuit ai Samburu. Tutto il fascino delle tradizioni indigene più remote è protagonista delle sue fotografie
La bellezza nasce solo se nutrita dal rispetto reciproco. È questa la verità a cui Jimmy Nelson (Sevenoaks, 1967) è giunto, dopo una vita trascorsa a contatto con gli indigeni di ogni dove. Descrivendolo così, sembra di essere davanti a un antropologo. A uno di quei pittoreschi individui che abbandonano tutti i comfort occidentali per conoscere e studiare quel 5% di umanità ancora custode delle proprie tradizioni ancestrali. Eppure, si tratta di un fotografo. Il figlio di un geografo, scappato a sedici anni dalla vita collegiale inglese, per approdare nel seno delle comunità di nativi tibetani. Alla ricerca della propria identità. È lì che si ritrovò per caso a scattare la foto di una donna, il cui volto lo aveva toccato. Fu quello il primo ritratto di bellezza indigena della sua carriera. Bellezza, nutrita di tutto il rispetto che si era creato tra quel popolo e lui fin dal suo arrivo. Bellezza che colpì anche il grande pubblico metropolitano: la fotografia dell’indigena tibetana finì sulla copertina del National Geographic, distribuito in tutto il mondo.
Così cominciò la nuova pagina di vita di Jimmy Nelson, che è oggi riassunta a Milano, in una duplice occasione di scoperta dei suoi lavori. Il tema è lo stesso: “Humanity”, un omaggio alla diversità dei popoli terrestri, tutti in fondo accomunati dall’essere uomini. Sessantacinque scatti sono esposti a Palazzo Reale, in un percorso immersivo che trasporta nei luoghi immortalati. In Corso Venezia, il Portrait Hotel ne offre un’ulteriore selezione pubblica in maxi-formato.
La tecnica fotografica di Jimmy Nelson
Ogni scatto di Jimmy Nelson nasce dal contatto diretto con i soggetti. “Per poter fotografare un popolo mettendolo su un piedistallo, bisogna prima capirlo” – sostiene lui con convinzione, mentre racconta il retroscena del suo lavoro. A volte, questa esigenza proviene dagli indigeni stessi. Mentre si trovava ospite del popolo nordico dei Chukotka, ad esempio, gli fu impedito di fotografarli finché non li ebbe davvero conosciuti. Si inizia con il costruire il rispetto reciproco, e poi si può procedere con il resto. Senza collaborazione dall’altra parte, non ci sarebbe nessuna delle sue fotografie.
Non si tratta, infatti, di un processo creativo semplice e fattibile in autonomia. Nelson è molto esigente: pretende massima precisione, sebbene si astenga dall’utilizzare luci o tecniche digitali. Scatta solo in analogico, con pellicole di formati tutt’altro che tradizionali (4×5 o 10×8): i requisiti per avere una resa cromatica ricchissima e una definizione impressionante. Perché tali mezzi funzionino, bisogna aspettare il momento giusto della giornata; a cui si aggiungono mano ferma e soggetti immobili. Ultima, ma estremamente importante, la composizione. La bellezza deriva anche dall’equilibrio scenico, in cui l’umanità è catturata da sola, in primissimo piano, oppure in armonia con il suo ambiente naturale.
La mostra di Jimmy Nelson a Palazzo Reale
Proseguendo la serie di progetti dedicati alla natura e alle persone, Palazzo Reale ha raccolto in una mostra sessantacinque dei capolavori fotografici di Jimmy Nelson. Percorrendo le sale, il visitatore è invitato a viaggiare ai quattro angoli della Terra, e a conoscere i suoi più remoti abitanti. “Il mio lavoro è un omaggio all’umanità intera; ma le culture indigene in particolare sono coloro che catalizzano tutto il mondo e fanno da specchio di tutti i popoli”. La ricchezza degli indigeni ha un valore inestimabile, da cui ciascuno può imparare qualcosa. Tanto sulle loro tradizioni, quanto sulla propria identità.
Dagli Inuit, alle piccole tribù dell’Africa Centrale: i costumi e l’artigianato che li caratterizza sono un “arazzo visivo di cui cerco di catturare la bellezza”.
I maxi-ritratti all’hotel Portrait di Milano
In parallelo alla mostra a Palazzo Reale, fino al 5 novembre Jimmy Nelson è protagonista di un altro spazio in città. Si tratta del cortile dell’ex Seminario Arcivescovile milanese, oggi sede del raffinato Portrait Hotel. Nel cuore aperto al pubblico di quel complesso che ospitò, oltre ai giovani preti, un fruttivendolo, botteghe commerciali, e persino l’ufficio di Sottsass e Bellini, sono esposti 18 ritratti. Molti i primi piani, di cui sette esclusivi per questa seconda location. Per l’occasione, le fotografie di Nelson sono state stampate in un formato nuovo e sperimentale. Molto più grandi del solito (ben sei metri di altezza) e riprodotte su una pellicola semitrasparente, applicata sulle vetrate della loggia al primo piano. Di giorno si apprezzano sfumate dalla luce naturale, e di sera risplendono grazie ai faretti. È il primo progetto culturale che l’hotel ha voluto donare alla città. Il cortile è infatti liberamente accessibile, così da permettere a tutti i milanesi di ammirare gli scatti in un contorno unico e ricco di storia.
Emma Sedini
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