La galleria Neon a Bologna. All’origine di un dibattito sul rapporto tra sperimentazione e luoghi istituzionali dell’arte

Una riflessione condivisa dall'assessore alla cultura dell'Emilia Romagna Mauro Felicori, circa l’esperienza illuminata di Gino Gianuizzi con la galleria Neon a Bologna, ci dà l’opportunità di aprire un confronto sul ruolo della sperimentazione nel sistema dell'arte

A Bologna, l’esperienza di Neon si è protratta per trent’anni, dal 1981 al 2011. “Una storia anomala”, la definisce il suo fondatore, Gino Gianuizzi, nell’introdurre il volume NO, NEON, NO CRY (edito da MAMbo) che quella vicenda originale e anticonformista cerca di raccontarla raccogliendo le voci di amici, artisti, curatori, appassionati, galleristi, assistenti di gallerie, studiosi, professori.

L’esperienza della galleria Neon a Bologna

Concepita come conseguenza del Settantasette, “spazio di utopia nato quando le utopie rivoluzionarie si scioglievano” – prendendo ancora una volta in prestito le parole di Gianuizzi – Neon si presentò sulla scena bolognese senza un programma predeterminato, proponendosi autenticamente come laboratorio di idee, a disposizione di artisti e curatori che volessero confrontarsi e sviluppare nuovi percorsi. Così facendo, Gianuizzi – insieme a Francesca Alinovi, prima, e Roberto Daolio, poi – ha raccolto e favorito esperienze artistiche, agendo da scopritore di talenti. A questa storia il MAMbo ha dedicato una mostra – da cui il libro prende il titolo – nell’estate 2022, a quarant’anni dall’inizio di tutto. Ma negli ultimi giorni proprio il ruolo esercitato da Neon ha favorito un dibattito dagli esiti non scontati a partire dalla relazione che il sistema istituzionale dell’arte bolognese (non) ha saputo stabilire con il lavoro illuminato della galleria di via Solferino, che lungi dal costituire una “scuderia” di artisti da rappresentare, si è proposta invece come spazio spontaneo di formazione, cavalcando un’attitudine situazionista.

Volume No, Neon, No Cry
Volume No, Neon, No Cry

Mauro Felicori, Gino Gianuizzi e il dibattito su sperimentazione vs istituzioni

Ad aprire il dibattito, sulla sua pagina Facebook, l’attuale assessore alla Cultura dell’Emilia Romagna, Mauro Felicori: “Da quarant’anni Gino Gianuizzi, prima con Francesca Alinovi e Roberto Daolio poi sempre più solo, è indubitabilmente il più originale e continuo talent scout di Bologna”, sostiene Felicori “Colpisce che in tutto questo tempo non ci sia mai stato un direttore della GAM che abbia deciso di fare di Neon la sua galleria, il proprio vivaio, liberando Gino dai costi di una attività svolta senza alcun interesse commerciale”. La riflessione – concentrandosi su un luogo dove si è fatta la storia dell’arte, pur senza entrare nel “grande giro”, e rivendicando una riconoscenza evidentemente non ricevuta da Gianuizzi – ha suscitato molte reazioni, anche contrastanti, molte capaci di stimolare ulteriori confronti, come faremo nelle prossime settimane sulle pagine di Artribune, chiedendoci – chiedendo ai protagonisti del settore – se le situazioni sperimentali debbano o meno trovare spazio, essere incorporate, in contesti istituzionali.

Bologna la conservatrice

A Felicori, ha innanzitutto risposto proprio Gianuizzi, rilevando “lo spirito di conservazione che è l’anima profonda di Bologna”. “D’altra parte”, continua il gallerista “oggi l’amministrazione non è interessata al suo MAMbo; finge di non essere coinvolta nella catastrofe annunciata del suo FICO; gode della sua Cineteca e del denaro generato dall’indotto del turismo ‘gastrico’ che occupa letteralmente lo spazio pubblico; coccola gli speculatori immobiliari e sgombera con la forza i rari tentativi di occupazione. Da almeno quarant’anni si racconta una città che non esiste ma la “narrazione” è buona per attirare i gonzi”. Gli fa eco Carlo Terrosi, evidenziando come “Bologna si è spesso fatta vanto del suo tessuto creativo, ma in realtà ne è stata sempre diffidente. Non ha mai dato cittadinanza piena agli ‘ alternativi”, a quelle esperienze non direttamente generate dal lungimirante pensiero del “Partito”. Le ha lasciate accampate ai margini della città”. Mentre è una voce che si leva a contrasto, ampliando la riflessione oltre la situazione bolognese, quella di Danilo Eccher: “Ma perché c’è sempre questa assurda volontà di ‘istituzionalizzare’ le più straordinarie avventure creative? Da ex direttore di museo ho sempre sospettato quei finti alternativi che si nutrono delle istituzioni pubbliche. I musei hanno altri compiti”. Nel mezzo sta la proposta di Silvia Cini: “La questione si risolve velocemente: dare a Neon uno spazio pubblico svincolato da ogni istituzione per proseguire la propria attività, perché ha rappresentato e rappresenta quell’interstizio di libertà creativa che oggi viene da molti celebrato, rappresentando Bologna da anni come il punto di scambio e condivisione di nuove idee e innesco di nuove pratiche artistiche”.
Ci torneremo, a brevissimo.

Livia Montagnoli

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