Disertare il Lucca Comics per esprimere la propria opinione significa banalizzare la guerra
Zerocalcare, seguito da altri artisti, ha deciso di non partecipare all’edizione 2023 di Lucca Comics esprimendo il proprio dissenso e distanza dal patrocinio dello Stato di Israele alla manifestazione. Ma così facendo ha rischiato di banalizzare il conflitto Israele Palestinese
Lo scontro tra Palestinesi e Israeliani ha da sempre goduto, nel nostro Paese, di una grande eco mediatica. Rispetto ad altri scontri, molto più sanguinari, e altrettanto longevi, quello che si concentra sulla Striscia di Gaza, anche per una questione di vicinanza e di più profonda commistione con la nostra società, ha riscosso sempre attenzione. Non stupisce quindi che così tanti artisti si siano già immediatamente schierati per l’una o per l’altra parte. E non stupisce nemmeno che siano sorte polemiche sul patrocinio dello Stato di Israele al Lucca Comics, una delle vetrine più importanti di quel settore editoriale e audiovisivo che un tempo si chiamava “fumetto”, e che negli ultimi anni ha giustamente conosciuto un’esplosione di interesse formidabile.
Il caso Lucca Comics e la banalizzazione del conflitto
È chiaro che chi fa cultura ha una propria opinione. Ed è chiaro che chi fa cultura, in fondo, abbia proprio il ruolo di condividere le proprie opinioni e le proprie sensibilità. C’è però un confine sottile tra questa libertà di espressione, e la polemica non del tutto costruttiva. Chi fa cultura non solo può (in quanto libertà sancita nella costituzione e negli strati più profondi della nostra democrazia) esprimere la propria opinione. Deve farlo. Deve farlo però arricchendo chi legge, chi ascolta, chi guarda, chi studia. Banalizzare un conflitto, così delicato, così profondamente intrecciato con quell’enorme bagaglio di non-detti, non-scritti e non-visti che dalla fine della Seconda guerra mondiale attraversa non solo il nostro Paese, ma l’Europa intera e gran parte del mediterraneo, è sminuire non solo la propria rappresentatività, ma anche sminuire il ruolo che la cultura dovrebbe assolvere in una situazione di questo tipo. Questa riflessione potrà sicuramente sollevare un vespaio di polemiche, utili e futili. Resta però un dato di fatto, ed è una condizione che va in ogni caso considerata.
Il ruolo dei social media oggi
Per la prima volta nella storia dell’umanità, la nostra società, attraverso i mezzi tecnologici, ha abilitato per quasi chiunque la possibilità di poter esprimere una propria opinione su qualsiasi tipo di argomento. Fatte le dovute eccezioni, chiaramente, e ben sapendo che l’acclamata democrazia dei social sia molto più insidiosa di quanto si tenda a credere, è comunque vero che oggi, un post scritto da un ragazzino in un qualsiasi Paese del mondo, può potenzialmente raggiungere milioni e milioni di persone. Può farlo dunque il disoccupato, la casalinga o il casalingo, può farlo l’Amministratore Delegato, il ricercatore, lo storico, il meccanico. Questa condizione è alla base del meccanismo stesso dei social network: non solo si possono condividere le proprie vite, ma anche i propri gusti, le proprie passioni, i propri dispiaceri e le proprie opinioni. Il risultato, altrettanto innegabile, è che nel mare magnum dell’età dell’informazione, ci sia probabilmente un eccesso di offerta rispetto alla domanda, quando si parla di opinioni. Il che, tradotto in termini un po’ più concreti, significa che ogni volta che apriamo un social ci sono molte più persone che esprimono le proprie opinioni rispetto al numero di persone interessate a leggerle.
Il ruolo della cultura nell’opinione pubblica
In un eccesso d’offerta, sono tendenzialmente due le spinte che hanno la meglio a livello aggregato: da un lato si scontano i prodotti, dall’altro c’è una diversificazione e un incremento della qualità. Piuttosto che seguire la prima strategia, quindi, sarebbe opportuno che chi si occupa di cultura cerchi di sviluppare la propria opinione in modo qualitativamente più ricco. Non necessariamente inserendo tale opinione nella propria professione: un musicista non necessariamente deve comporre un brano per esprimere la propria idea. Può utilizzare le parole. Può scrivere saggi, articoli di riviste. Anche post. Ma quando la cultura decide di non essere “inutile”, e quindi “fine a sé stessa” o espressione di una dimensione che trascende e sublima alcune tematiche, quando la cultura decide di esprimersi sul quotidiano, sul secolare, allora dovrebbe essere memore del fatto che la cultura ha anche il ruolo di stimolare riflessioni, ragionamenti. Ispirare qualcosa in più del “sono d’accordo” o “non sono d’accordo”.
Chi fa cultura, in casi come questi, nel momento in cui decide di esprimersi, deve assumersi la responsabilità di migliorare le riflessioni già esistenti.
Zerocalcare, gli altri artisti e il Lucca Comics
La vicenda del Lucca Comics, che ha da molti mesi ricevuto il patrocinio dello Stato di Israele, rappresenta esattamente l’esempio di ciò che andrebbe evitato. Partecipare o non partecipare al Lucca Comics ha aperto le strade della banalizzazione, che è divenuta ovviamente terreno fertile per le incursioni dei social media strategist dei politici. Andava dunque evitata questa condizione, così come andavano del tutto evitate quelle schermaglie che hanno riguardato artisti e opere d’arte all’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Ciò significa che chi si occupa di cultura debba limitare la propria possibilità di esprimersi? Tutt’altro.
Significa pretendere da chi fa cultura che si esprima. E che nell’esprimersi aggiunga elementi di riflessione che chi magari passa la giornata in fabbrica o in ufficio o in officina non ha avuto modo di approfondire.
Perché se il massimo dell’espressione diviene partecipare o meno ad un evento patrocinato da Israele, allora non parliamo di cultura, ma di “passatempo”.
Negli ultimi decenni, tutti coloro che sono stati coinvolti in questo settore hanno visto finalmente diffondersi la consapevolezza del valore culturale delle produzioni alle quali partecipano.
Questo significa, per intenderci, che “fanno cultura” e non “solo fumetti”. È importante quindi che anche loro se ne rendano conto, e che agiscano di conseguenza.
Stefano Monti
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