CittàForesta. Il festival a Roma che parte da un libro di Calvino
Le Cosmicomiche, raccolta di racconti di Italo Calvino, è il punto di partenza della seconda edizione del festival partecipativo CittàForesta, che ha portato l’arte in cinque quartieri di Roma
Quando Calvino scrive Le Cosmicomiche, sente la necessità di un’altra componente per indagare l’umanità e ciò che la compone: il comico. Per arrivare a questo linguaggio, però, come si nota nei racconti di questa raccolta, sceglie di partire sempre da un dato concreto, una conoscenza scientifica (che ha sempre affascinato lo scrittore) per poi distanziarsi, seguendo la sua inarrestabile immaginazione, creando atmosfere poetiche e ineguagliabili chiavi di lettura della nostra realtà. Le Cosmicomiche sono il testo che Latitudo Art Project ha scelto come “guida” alla seconda edizione del festival partecipativo CittàForesta, vincitore dell’ultima Estate Romana che da luglio a metà ottobre ha portato 20 laboratori in 5 quartieri diversi di Roma: Labaro, Laurentino, Corviale, Tufello e infine Trullo, dove si è anche svolto l’evento finale. Molti gli artisti e le realtà culturali coinvolte: Gaia Scaramella, Iginio De Luca, Julia Jenewein e Filippo Riniolo, il collettivo di architetti VIVIAMOLAq, i fotografi Luis Do Rosario e Isabella Mancioli, lo street artist Davide D’Angelo (aka URKA), Jacopo Natoli e Danilo Innocenti, l’Associazione Italiana di Medicina Forestale (A.I.Me.F.) e infine l’associazione Pontedincontro (sede a Laurentino, ma diventata nomade in questo progetto) che con la sua web radio ha dato voce agli abitanti di ogni territorio attraversato.
Intervista a Benedetta Carpi De Resmini
Scambiando qualche parola con una delle artefici di questo progetto, Benedetta Carpi De Resmini, abbiamo colto lo spirito del festival, gli esiti e qualche momento inaspettato.
Come mai tra le tante opere di Calvino avete scelto Le Cosmicomiche, una tra le meno conosciute, come vostro testo-guida?Il primo dato interessante che ho trovato in questi 12 racconti è il carattere nomade e sempre alla ricerca di risposte del protagonista: già nel suo nome – Qfwfq – difficile da ricordare e quasi impossibile da pronunciare, possiamo percepire una ricerca di simmetria ed equilibrio destinata a fallire. Anche noi siamo in continuo movimento e, spostandoci da un territorio urbano all’altro, proponiamo attività creative spesso bizzarre e inaspettate, come quest’anno lo è stato suonare mobili e oggetti con Iginio De Luca, per realizzare composizioni “acustico-satellitari” che raccontassero i singoli quartieri o costruire marionette cosmiche dalle strane forme e dai tanti occhi (immancabili) guidati dalla voce di Gaia Scaramella.
Come sono stati selezionati gli artisti?
Si tratta di un lavoro di comune confronto, soprattutto tra me, Paola Farfaglio (project manager) e Veronica Pasetto (responsabile della comunicazione). Spesso si tratta di collaborazioni che si intensificano, con artisti con i quali lavoriamo da diverso tempo (Jacopo Natoli, Luis Do Rosario, Isabella Mancioli, gli architetti Viamolaq). Altre volte sono rivelazioni inaspettate dovute a giuste intuizioni, come è stato con Gaia Scaramella, che qui per la prima volta ha sperimentato un progetto partecipato ottenendo un gran risultato, oppure la collaborazione tra Jacopo Natoli e Danilo Innocenti, che in un’azione di pittura collettiva hanno fatto lavorare insieme bambini che prima non si conoscevano provenienti da 5 territori diversi, componendo una sorta di racconto polifonico di un’unica comunità.
Come entrate in relazione con i luoghi e come attivate il dialogo con i loro abitanti?
Si tratta di un avvicinarsi sempre molto graduale, senza mai dare nulla per scontato, avanziamo in punta di piedi. Spesso è stato fondamentale farsi accompagnare da un door keeper, ovvero una figura – individuo o comunità del territorio – che apre la porta e ti introduce, diventando anche una cartina tornasole per capire come stiamo procedendo.
Resta nella tua memoria una voce o un fatto cosmicomico di questa edizione che ti ha particolarmente colpito?
Sicuramente son rimasta sorpresa di scoprire le possibilità di relazionarsi che hanno i bambini tra loro, anche tra sconosciuti: attraverso i linguaggi della pittura o nella creazione di forme, mostrano rispetto e apertura verso l’altro. Pratiche “mitopoetiche”, le definiscono Jacopo Natoli e Danilo Innocenti. Ma sono le singole reazioni dei partecipanti a lasciare le tracce più indelebili, famiglie che ci hanno seguito da un quartiere all’altro per prender parte alle attività, oppure una bambina che, all’evento finale di quest’anno, si è commossa e mi ha chiesto “ma io devo aspettare un anno prima che tornate?”. In queste parole esiste la parte più preziosa del progetto.
Francesca Campli
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