Il Brasile esporrà alla Biennale Arte 2024 il suo volto indigeno con Glicéria Tupinambá
Con un'artista e tre curatori indigeni, il Padiglione sarà ribattezzato come "Hãhãwpuá", cioè terra ancestrale. Dando spazio alle comunità emarginate e colonizzate, e al loro messaggio di resistenza e rinascita
Sarà l’artista Glicéria Tupinambá a rappresentare il Brasile alla 60. Biennale Arte di Venezia, al titolo di Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam/ Ka’a Pûera: siamo uccelli che camminano. Il Padiglione sarà curato da tre professionisti indigeni, Arissana Pataxó, Denilson Baniwa e Gustavo Caboco Wapichana, e ribattezzato “Hãhãwpuá“, uno dei nomi nativi del Brasile prima della colonizzazione europea.
Un progetto indigeno per il Padiglione del Brasile alla Biennale Arte di Venezia 2024
Vincitrice del Premio PIPA 2023, l’artista scelta per rappresentare il più grande Paese sudamericano guiderà una delegazione ricca di personalità native, mettendo al centro tematiche come la colonizzazione, l’emarginazione e la resistenza condivisa dall’umanità e dalla natura. Il titolo è un omaggio diretto alla storia del popolo indigeno del Brasile da cui deriva il cognome dell’artista, i Tupinambá: “Ka’a Pûera” si riferisce alle antiche foreste che, abbattute per praticare l’agricoltura, andavano a rigenerarsi, rivelando il potenziale di rinascita degli ecosistemi. Allo stesso tempo il termine, da cui deriva anche quello della nota danza-lotta “capoeira”, indica un piccolo uccello della stessa foresta, da cui il sottotitolo scelto per il Padiglione.
Le culture indigene protagoniste al Padiglione Brasile alla Biennale di Venezia
Per secoli, il popolo dei Tupinambá è stato criminalizzato all’interno del suo territorio d’origine nel sud dello stato di Bahia, i suoi capi perseguitati e uccisi, e i beni culturali e naturali espropriati. La stessa artista è stata arrestata una decina d’anni fa. Considerati estinti fino al 2001, i Tupinambá si sono visti finalmente riconoscere dal governo brasiliano non solo la propria esistenza, ma anche il diritto di rivendicare un territorio e una cultura, quelli persi con la colonizzazione. Diritto che oggi diventa il cuore del nuovo Padiglione. “Nell’antico Tupi, la lingua dei Tupinambá, Ka’a Puera indica le antiche foreste tagliate per creare i campi. Dopo la raccolta, questo spazio veniva lasciato al riposo, lasciando emergere una nuova vegetazione” dove trovare “una grande varietà di piante medicinali. Questo terreno in ripresa sarebbe potuto tornare a sostenere la comunità o una nuova foresta. Dove apparentemente non c’è vita, lì è la possibilità di rinascita”, spiegano i curatori. “La capoeira è anche conosciuta dai Tupinambá come un piccolo uccello che vive nelle fitte foreste, le cui piume marroni, arancioni e grigie lo mimetizzano”: un doppio senso con cui la mostra mette al centro “coloro che sono ai margini, deterritorializzati, invisibili, imprigionati, che ci chiamano alla resistenza,secondo la credenza per la quale siamo uomini-uccelli-memoria-natura, con sempre una possibilità di rinascita e di resistenza”.
Il progetto del Padiglione brasiliano alla Biennale Arte di Venezia 2024
La selezione dei progetti curatoriali e artistici per il Padiglione brasiliano ha visto quest’anno, per la prima volta, una votazione tramite comitato, formato dai rappresentanti degli enti organizzativi, cioè la Fundação Bienal de São Paulo, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero della Cultura brasiliani. Per José Olympio da Veiga Pereira, presidente della prestigiosa fondazione senza scopo di lucro che organizza la Biennale di San Paolo, questo processo di selezione è motivo di grande orgoglio: “Il successo che ci ha portato il nostro primo Leone d’Oro ci riempie di fiducia sul fatto che anche questo progetto sarà un trionfo. Avendo un comitato abbiamo l’opportunità di ampliare i dialoghi e rafforzare l’inclusione di voci provenienti da tutto il Paese in quella vetrina globale dell’arte contemporanea che è la Biennale di Venezia. Questa volta il Padiglione sarà intriso della visione di curatori e artisti provenienti dalle comunità indigene, che portano un’urgente prospettiva sul mondo, legata al tema globale dell’edizione”, cioè Stranieri ovunque, scelto dal curatore della 60. Biennale, il brasiliano Adriano Pedrosa. A cominciare dal nome: Hãhãwpuá, “territorio ancestrale”, uno dei molti termini usati dalle popolazioni indigene prima della colonizzazione, in questo caso dal popolo Pataxó, per indicare la propria casa. Nella quale sono stati costretti a diventare stranieri.
Giulia Giaume
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